lunedì 28 febbraio 2011

La Repubblica


Thyssen, la sentenza
arriverà a metà aprile

Ultima arringa difensiva, l'avvocato dei manager tedeschi chiede l'assoluzione piena per l'ad e gli altri dirigenti: "Non hanno commesso alcun reato". Dure accuse agli enti locali e ai sindacati

di SARAH MARTINENGHI


QUANDO il 15 aprile entrerà in camera di consiglio, la corte d'assise «non dovrà tenere conto del dolore, rispettabilissimo, portato in quest'aula, ma delle prove fornite: non ci sono omissioni imputabili ad Harald Espenhahn, lui ha assolto tutti i suoi obblighi». Così l'avvocato Ezio Audisio ha chiesto ieri che l'ad della Thyssenkrupp sia assolto da ogni accusa, a cominciare da quella, contestata per la prima volta, di omicidio volontario con dolo eventuale, «perché il fatto non sussiste», e dai reati colposi perché «non costituiscono reato».

L'AD, per il difensore, ha fatto il documento di valutazione dei rischi, ha previsto un sistema di deleghe, ha stanziato fondi per i corsi di formazione, ha tenuto una condotta che non costituisce reato, non ha omesso di stanziare fondi per la sicurezza, e la linea 5 non era a rischio incendio, «non più di quest'aula di tribunale». Assoluzione anche per Marco Pucci e Gerard Priegnitz, «per non aver commesso il fatto».

Ma ieri l'avvocato Audisio ha usato toni forti contro le parti civili. Gli enti territoriali, Comune, Provincia, Regione, e anche i sindacati: «nessuno di loro ha diritto di chiedere danni». «Ho ascoltato con sconcerto le loro richieste, sproporzionate e immotivate - esordisce l'avvocato - la Regione ha chiesto 6 milioni, Provincia e Comune 1 milione e mezzo». Cita la sentenza del tribunale di Cuneo per il Molino di Cordero: 5 lavoratori morti a seguito di una tremenda esplosione. «C'è un'inspiegabile differenza di comportamento. Ma l'unica differenza, a parte il numero di vittime, è stato il clamore mediatico. Eppure in quel caso gli enti hanno chiesto complessivamente il risarcimento di un euro simbolico, qui, invece, la Regione chiede un euro per ogni abitante».

Il difensore lancia il suo affondo: «Chiedono danni di immagine, ma dove erano gli enti quando dovevano partecipare alle attività ispettive? La Regione l'ha fatto attraverso il comitato di controllo, la provincia talvolta è intervenuta. Il Comune, pur invitato, non si è mai degnato. Hanno avuto un ruolo nella chiusura, si sono seduti al tavolo delle trattative: ma si sono mai occupati di sicurezza? Solo dopo ci dicono che lo stabilimento era abbandonato, dimenticato. Ma prima dov'erano? Questi dati non possono essere trascurati».

Ce ne è anche per i sindacati. «Assurde» le loro richieste: «Fiom, Fim e Uil hanno svolto un ruolo nelle fasi finali dello stabilimento. Ma nemmeno in quelle sedi hanno mai segnalato problemi di sicurezza: si è sempre e solo discusso di problemi occupazionali. Quella era l'unica attenzione dei sindacati». «Dov'erano allora quando si sono verificati i fatti? due le opzioni: o, se c'erano, non se ne sono accorti, oppure quei fatti non si sono mai verificati. Dimostrino che hanno avuto un danno e che non hanno concorso alla determinazione di quel danno». La Regione non può essere risarcita «nemmeno per quanto riguarda le spese mediche sostenute «sono state sostenute dalle Asl, realtà imprenditoriali autonome». Nemmeno gli ex colleghi vanno rifondati, e neanche i soccorritori che hanno avuto danni psicologici per aver visto morire i compagni nelle fiamme: «non ci hanno mica contestato le lesioni colpose» commenta il legale. Gli unici risarcibili sono i pochi zii e cognati delle vittime, in quanto prossimi congiunti: ma in separata sede, quella civile.

(25 febbraio 2011)

giovedì 24 febbraio 2011

Report udienza processo ThyssenKrupp martedì 23 febbraio 2011

a cura di Elena (Agende Rosse)


Nessuno al presidio all'ingresso del tribunale, strano,  di solito i compagni della Colcom sono presenti... sia con i loro striscioni che con lo striscione con le fotografie delle vittime del rogo.

 

Ore 9,30 entra la corte

Dopo poco inizia l'avvocato Audisio - difensore di Harald Espenhahn, Gerald Priegnitz e Marco Pucci. 

 

Inizia dicendo che la situazione del mercato mondiale ha costretto la Thyssen ad ottimizzare e riorganizzare... che l'azienda NON voleva chiudere Torino ma che voleva incrementare la produzione di Terni .

(n.d.r. e per farlo chiudeva Torino e portava tutto a Terni!)

 

Ricorda che Estenhan era l'A.D. dell'azienda e quindi il datore di lavoro. Per adempiere agli obblighi che la legge prevede in termini di sicurezza era costretto a delegare, in quanto non aveva le conoscenze tecniche per adempiere alla normativa in vigore.

Ricorda che il sistema di deleghe risale a prima della sua assunzione e che quindi si è limitato ad attuare le linee già seguite in precedenza. 

Ricorda che il delegato era il direttore di Stabilimento di Torino, Il Signor Salerno e che quest'ultimo aveva una delega a firma congiunta, con un parigrado di Torino,  di 1 miliardo - quindi con una autonomia più che sufficiente per garantire interventi connessi alla sicurezza!

 

Le anomalie riscontrate non dipendono quindi da Estenhan ma dal delegato. 

 

Obbligo di Estenhan era la valutazione del rischio!  E qui inizia con le domande auliche: ''Ha Estenhan adempiuto alla valutazione? E se si... lo ha   fatto correttamente''?

 

Chiede di precisare che cosa significa Luogo ad elevato rischio incendio. 

 

Fa un esempio di rischio incendio parlando dell'aula in cui ci troviamo e dice che il tribunale è in ''pericolo'' di incendio MA non a ''rischio''.

 

Sostiene che alla linea 5 c'era il pericolo, si, ma non il rischio.

 

E' vero che c'erano flessibili contenenti olio infiammabile a pressione ma che non c'erano fonti di calore in prossimità, quindi non vi era pericolo. 

 

I coils lavorati erano si impregnati di olio di laminazione ''altamente'' infiammabile, ma che dovevano essere sgocciolati... e l'olio che cadeva doveva essere ripulito.

 

E' vero che c'era carta ma veniva raccolta su appositi rulli e che nel caso si fosse strappata bisognava toglierla manualmente. 

 

Ricorda che vi era una impresa che aveva l'appalto sia per le pulizie che per la raccolta dell'olio e della carta! (n.d.r. non in continuazione ma alcune volte durante la settimana... la pulizia, ultimamente, spettava agli operai durante il turno di lavoro)!

 

Ricorda che c'era una  fotocellula che avrebbe dovuto rilevare la carta strappata... (n.d.r.: ma che non funzionava in quanto su una staffa storta e che bloccava la linea in continuazione - segnalazione di tale anomalia era stata eseguita, ma, dato il pezzo mancante, si era risolto il problema con un catarinfrangente provvisorio che veniva messo e tolto durante la lavorazione).

 

Motivo di scintille è la frizione tra il coil e la carenatura metallica della linea, ma gli operai dovevano controllare!

 

La linea 5 è a vista e quindi spettava agli operai tener d'occhio la centratura nella zona incriminata, avrebbero dovuto agire spostando il centratore manualmente. Ricorda che l'ispezione sulla 5 era facile in quanto tutta a livello ''zero''.

 

Ricorda che tutti gli studi fatti dal 1997 al 2005 il  carico incendio è sempre sato di 10/11 Kglegna, ribadisce quindi che c'era pericolo ma NON rischio! 

 

Affronta poi il problema del certificato Anti Incendio che i Vigili del Fuoco devono rilasciare per legge... e qui  la faccenda ha dello stupefacente...

Prima di tutto dà nuovamente la colpa a Salerno dicendo che avrebbe dovuto occuparsi meglio della faccenda. 

 

Il gestore dello stabilimento deve redigere un programma di gestione sicurezza e deve adottare un piano di emergenza sia interno che esterno (n.d.r.: ricordiamo che l'incaricato prendeva spunti da una ''rivista specializzata in materia''!)

 

Per una azienda non a ''rischio'' incendio era sufficiente la redazione e il rispetto di questo programma per avere il certificato dal VVFF; per una azienda ad alto rischio era necessario un organo collegiale che oltre a produrre questo materiale doveva effettuare una valutazione più ampia e rigorosa con organi preposti del comune e dei VVFF. Va avanti a parlare di normative ma il succo del discorso è che dal 1997 al 2003 non si è fatto altro che scrivere programmi sempre più dettagliati, in versioni sempre più aggiornate ... ma evidentemente, invece di attuarli si limitavano allo scriverli in quanto il certificato i VVFF non lo avevano ancora rilasciato!

 

Ricorda che anche dai controlli effettuati dall'ARPA non sono mai emerse anomalie ( n.d.r. chissà come mai?)

 

Il dicembre del 2004, finalmente, la Dott.ssa Milena Orso Giacone, (ARPA ?)  realizza che, dati gli acidi trattati dall'azienda - la Thyssen diventa a ''rischio''! In base a quest'ultimo,  l'iter da seguire per ottenere la certificazione VVFF non è solo l'obbligo di notifica del programma,   MA anche quello di gestione della sicurezza.

 

Salerno pare non faccia nulla per adempiere a questa norma. Ecco quindi che gli viene contestato l'illecito penalmente rilevante. 

 

Tornando all'azienda , Audisio sostiene che la pratica per ottenere la certificazione dei VVFF non è stata sottovalutata dall'azienda ma interrotta per la variazione della normativa stessa! (n.d.r. dal 1997 inizio pratica ... alla ''scoperta degli acidi da parte della Orso Giacone 2004 sono passati 7 anni! Mi domando se un parrucchiere potrebbe permetterselo tutto 'sto tempo...)

 

Parla ancora ribadendo sempre le stesse cose da mille angolazioni diverse e alla fine conclude che, ammesso e non concesso che il certificato fosse stato rilasciato cosa sarebbe cambiato? Nulla! Quindi che problema c'è? Ovviamente da principe del foro qual'è non usa queste parole, ma il ''succo'' è questo!

 

Tornando allo stabilimento a ''rischio'' in quanto lavorazioni con acido cloridrico... si domanda se sarebbe stato opportuno installare un sistema di rilevazione/spegnimento incendio... (n.d.r avrei voluto gridare SIIIIII) e conclude dicendo che sarebbe stato inutile! (n.d.r.: sigh...) Che si è preferito invece analizzare ogni pezzetto della linea ed agire in modo tale da evitarlo! (n.d.r.: sorride trionfale... mi chiedo perchè visto che sono morti in 7? Bell'analisi han fatto!)

 

Ribadisce che non c'era motivo di avere materiale infiammabile attorno... (n.d.r.: ma c'era...) ''Pianta nuovamente il ''tarlo'' del ... se c'era materiale infiammabile in giro... la colpa è di chi non lo ha tolto... visto che gli operai preposti a tale compito non c'erano più - sempre per via dell'ottimizzazione - ma c'era una ditta appaltatrice che faceva le pulizie a cadenza regolare, ma non giornalmente ... sta praticamente dicendo che gli operai non facevano le pulizie durante il turno di lavoro...)

 

Parla del piano di intervento in caso di incendio, e dice che il personale:

 

  1. Se è ''formato'' cioè se ha frequentato un corso interviene
  2. Se l'incendio è di palese gravità chiama la squadra di emergenza che chiama a sua volta il responsabile ''emergenza''
  3. Il Responsabile chiama la squadra ''manutentori''
  4. La squadra accorre sul posto, allontana le persone e le mette in sicurezza, fa staccare la corrente e mette in sicurezza l'impianto
  5. si organizza per spegnere il fuoco
  6. se non ne è in grado chiama i Vigili del Fuoco.
  7. Se si fosse agito in questo modo si sarebbe evitata la tragedia!

 

Quindi?  cosa vuol dire? Chi c'era in quel momento? Ci lascia sospesi in questo modo e chiede una pausa, sono le 13.10 siamo tutti stanchi e depressi!

 

la mamma di Santino esce dicendo: ''sta a vedere che si sono dati fuoco da soli''!"

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vado a prendere un caffè alla 'machinetta' costa 35 cent ma non dà il resto, ho 50 cent... pazienza!  Faccio un paio di telefonate e infilo 1.50 per prendere un panino... la macchina ingoia 1,50 e non mi restituisce NULLA! La guardo con schifo e mi deprimo ancora un pò di più.... torno in aula e dò un'occhiata al Fatto Quotidiano. 

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Ore 14.45 Audisio riprende la difesa scusandosi con l'eccellentissima Corte per l'attenzione che ha riposto nella analisi della valutazione dei fatti.

Sostiene che tutto quel che è stato valutato sia da organismi interni che esterni è sempre stato considerato in modo positivo e che solo dopo l'incidente sono state mosse delle critiche! 

Dice che i PM sostengono che avrebbero ritenuta corretta la valutazione dei rischi effettuata dall'azienda SE la situazione fosse stata ottimale, cosa che NON era. 

la difesa sostiene invece che tutto era corretto e tutto procedeva nella norma... anzi essendo ridotta la produzione c'erano ancora meno rischi! Quindi Estenham aveva adempiuto perfettamente al proprio compito!

Ribadisce che nessuno aveva detto di mettere l'impianto di rilevazione/spegnimento incendio automatico quindi? Cosa imputare a 'sti poveretti? Nemmeno quando Estenham è venuto a Torino in visita l'ultima volta non gli è stato detto che le cose non andavano proprio a ''gonfie vele''.

Nemmeno il Pignalosa, che invece di avventarsi contro Estenhan e dirgli che c'erano problemi ... gli ha invece chiesto le ''magliette con il logo''! (n.d.r. : Che depressione che mi viene! Io ho lavorato come segretaria/assistente in Fiat Capogruppo e mi capitava di vedere l' avvocato Agnelli;  anche io avevo qualche ''problemino'' in ufficio ma, onestamente, MAI mi sarei osata andar da lui e dirgli guardi che le prese di corrente in ufficio NON sono mica a norma! Oppure che avevo un groviglio di fili elettrici sotto la scrivania! Grrr).

 

Continua dicendo che Estenhan ha fatto il suo dovere di controllo, che ha delegato un responsabile e che era assolutamente tranquillo... insomma non ha violato proprio nulla!

 

Sono le 15.30 l'udienza viene riaggiornata a venerdì 25 febbraio!

 


 



La Stampa


Thyssen, "Noi inadempienti?
Spegnevamo fuochi
quasi ogni giorno"


Antonio Boccuzzi: «Fui messo in cassa integrazione per punizione»

Parla il superstite dell'incendio

di Alberto Gaino

Antonio Boccuzzi, la difesa continua a metterla di mezzo, ieri come uno dei tre responsabili della sicurezza per conto dei lavoratori. Voi Rls non avreste segnalato alcun problema nei mesi precedenti la morte dei suoi sette compagni nel fuoco.
«Fra luglio e settembre 2007, il consiglio di fabbrica della ThyssenKrupp di cui facevo parte sollevò più volte problemi di quel genere, soprattutto in relazione alla carenza della manutenzione e in particolare contro la scelta dell'azienda di ridurre le squadre di lavoro di un'unità. La decisione valeva anche per la linea 5. La risposta dell'azienda fu di mettere in cassa integrazione i tre di noi che ancora non lo erano».

Una punizione?
«Cosa altro poteva essere? Io fui il solo della mia squadra a finire in cassa integrazione. Rientrai al lavoro in ottobre».

E non sollevò più la questione della sicurezza?
«Certo che sì. Lo ha ammesso molto onestamente lo stesso Cafueri (il responsabile della sicurezza TK, ndr.). Dopo un principio di incendio ad una linea di laminazione, andai a parlarne insieme con Argentino non so se a lui o a Vilella, il capo del personale. A volte vennero trovate le soluzioni, altre tamponamenti. In altre occasioni ancora Cafueri mi fece capire che non disponeva dei mezzi per intervenire».

Il vostro primo problema era la carenza di manutenzione?
«Proprio così. Prenda la questione della fotocellula di cui si è tanto parlato nelle ultime arringhe come della causa originaria dell'incendio. Non funzionava dal venerdì precedente la notte della tragedia, che cadde di mercoledì. In ogni caso, quel problema non ha avuto alcuna connessione con il fuoco».

Come andò quella notte? E' vero che voi stavate facendo una riunione sindacale?
«La riunione ci fu poco dopo le 22 e non durò molto: era stato indetto uno sciopero per l'8 dicembre: l'azienda voleva far lavorare anche il sabato le linee del trattamento. Non so chi fra Scola e Rodinò: uno dei due si accorse del principio di incendio. Il povero Rocco Marzo era arrivato poco prima: gli stavamo spiegando i motivi della fermata. Ci attivammo subito tutti: io mi precipitai sotto la spianatrice dell'Aspo 2, Rodinò e Demasi erano all'Aspo1, il solo in funzione in quel momento, due metri e mezzo sopra di me. Era là che la lamiera sfregava sulla carpenteria: le scintille cadevano giù dove c'erano carta e olio sul pavimento. Così ci fu l'innesco».

Perché non chiamaste la squadra di emergenza?
Era un ordinario principio di incendio. Accadeva talmente di frequente e talmente di frequente quei fuocherelli li spegnevamo noi che non avevamo più coscienza del pericolo. Vivevamo una situazione di ordinaria follia. Quella notte presi un estintore: era scarico. Poi, con Laurino e Santino, provai a collegare una manichetta all'idrante: mi salvai perché ero coperto da un muletto quando ci fu l'esplosione del flessibile con l'olio in pressione. Avessi impugnato la lancia, sarei morto io e non Scola».

venerdì 18 febbraio 2011

Zipnews


Thyssen: l'ultima difesa degli imputati

18 febbraio 2011

Ha preso la parola stamattina l'avv. Ezio Audisio, ultimo della lunga carrellata di legali degli imputati. La prima parte del suo intervento è stata incentrata sull'atteggiamento generale della Thyssenkrupp nei mesi precedenti la tragedia del 6 dicembre 2007. Un tema già ampiamente toccato nella precedente arringa dell'avv. Garaventa, ed incentrato sull'asserita grande attenzione della multinazionale alle esigenze dei dipendenti dello stabilimento che si avviava alla chiusura; in particolare, sul fatto che le residue attività aziendali in corso Regina non sarebbero servite – come sostiene l'accusa – per prolungare pericolosamente l'agonia del sito produttivo, bensì per ammortizzare il disagio di chi doveva decidere se accettare o meno l'ipotesi di trasferimento alla sede di Terni. L'arringa di Ezio Audisio si concluderà nella prossima udienza con le richieste di assoluzione; a seguire, ultimo giro di repliche da parte di accusa, parti civili e – infine – della stessa difesa.

La Repubblica - Torino


Rogo Thyssen: legale Espenhahn, pm troppo frettoloso


Torino, 18 feb. - (Adnkronos) - Nella sua requisitoria in aula a Torino, l'avvocato Ezio Audisio, legale dell'amministratore delegato della Thyssen, Herald Espenhahn, ha attaccato il pm sui tempi, troppo stretti a suo dire, di formulazione dei capi di accusa dolosi: "C'erano migliaia di documenti e lo stesso pubblico ministero ha ammesso di aver letto solo quelli che ha considerato piu' rilevanti, cioe' quelli legati a 'From Turin'. Tutto questo - ha affermato - ha determinato un'imputazione molto grave". Rivolgendosi alla corte Audisio ha cosi' contestato la tesi del pubblico ministero che ha legato in modo causale l'incendio alla volonta' dell'azienda di posticipare l'investimento sulla sicurezza dello stabilimento di Torino: "From Turin non ha alcuna attinenza con quello di cui stiamo dibattendo. L'investimento sugli impianti torinesi non aveva a che fare con il luogo dove si e' verificato l'incendio". Il riferimento e' a un rapporto interno, ritrovato dopo l'incendio, con le indicazioni delle somme da spendere per gli interventi sulla prevenzione, reparto per reparto. Accanto, i milioni di euro stanziati dal vertice tedesco di ThyssenKrupp erano spariti. Lo spazio era riempito dall'annotazione "From Turin" a significare che quegli investimenti, programmati sullo stabilimento di corso Regina Margherita, erano rimandati e sarebbero stati realizzati sui macchinari dopo il trasferimento a Terni. "La sicurezza del pm e' solo apparente - ha detto il legale - e' consapevole della difficolta' di sostenere la sua accusa".

(18 febbraio 2011 ore 15.32)


La Repubblica

 L'avvocato della Thyssen

"Accusa frutto di suggestione"

L'avvocato della Thyssen "Accusa frutto di suggestione"

La tesi dell'omicidio doloso, per l'incendio alla Thyssenkrupp di Torino che nel dicembre del 2007 costò la vita a sette operai, è "frutto di una suggestione". Lo ha detto all'inizio della sua arringa l'avvocato Mauro Audisio, difensore dell'amministratore delegato Harald Espenhahn, su cui pesa l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale.
Audisio ha affermato che i pm basano l'imputazione (inedita per un infortunio sul lavoro) su un'e-mail aziendale sequestrata all'ad dove si diceva che un investimento per la sicurezza della linea 5, quella poi andata a fuoco, doveva essere rinviato al trasloco dell'impianto "from Turin" (da Torino) a Terni: "Queste due semplici parole, 'From Turin', sono alla base dell'ipotesi del dolo. Ma l'investimento di cui si parla non riguarda il luogo dell'incidente. Quindi non c'è un nesso". Secondo Audisio i pm, nel corso dell'indagine, sono rimasti suggestionati dall'espressione "From Turin" ma "non hanno avuto il tempo di riflettere e di esaminare tutti i documenti".
Il legale ha sostenuto al contrario un comportamento virtuoso dell'amministratore delegato della Thyssen, che si è trovato a fronteggiare una grande crisi del mercato internazionale degli acciai: "Avrebbe potuto disimpegnarsi e limitarsi a chiudere le acciaierie in Italia. Invece lui, cittadino tedesco e manager di un'azienda italiana, si è battuto per salvare questa azienda. Lo ha fatto scegliendo di trasferire una produzione anziché limitarsi a chiudere. Per questo - ha aggiunto Audisio - è improprio parlare di chiusura della Thyssen".

(18 febbraio 2011)

Gramsci sul palco di Sanremo


  

Di Alessandra Valentini - Quando Antonio Gramsci arriva sul palco di Sanremo con il suo "odio gli indifferenti", in un primo momento pensi di aver sbagliato canale, invece no, e vedi anche La Russa che applaude, prima di aver capito che si trattava di Gramsci. Allora pensi che l'Italia è un grande Paese e in Italia la democrazia e la libertà sono una cosa seria, nonostante i politici di turno, nonostante la crisi, nonostante i direttori Rai, nonostante, o magari grazie, alle canzonette. Una democrazia fondata e costruita da tanti Gramsci, tanti Pertini, tante Anselmi, tanti Don Milani, tanti partigiani, tanti preti, tanti uomini e donne pieni di coraggio e dignità, che conquistarono quella libertà e quella democrazia oggi preziose. Tanto preziose e forti che dobbiamo, sì conservarle e difenderle, ma non dobbiamo mai pensare che possano aver perso un po' della loro forza, perché così non è e il solo pensarlo le potrebbe far sembrare un qualcosa di debole e transitorio. Invece no, in Italia la libertà e la democrazia sono più durature del bronzo, non le può mettere in discussione Ruby né per difenderle ci serve Fini. Dalla libertà e dalla democrazia indietro non si torna, e la democrazia è cosa seria e solida anche quando consente a Berlusconi, o ad altri, di fare quello che non ci piace.
Paesi a noi vicinissimi hanno iniziato un percorso importantissimo di ribellione per la conquista delle libertà fondamentali, un percorso difficile e pieno di contraddizioni. Più di qualcuno si è gettato in singolari parallelismi tra quei paesi e l'Italia, singolari perché quelle battaglie l'Italia le ha fatte nel 1861, poi nel 1944 e da noi l'ultimo dittatore è stato Mussolini. Insomma guardiamo con rispetto ed interesse a quanto accade in Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto ma è impossibile trovare similitudini profonde, per rispetto alla nostra intelligenza, alla nostra storia, per rispetto alla nostra Costituzione, per rispetto al nostro Paese. Un Paese in cui la libertà è anche leggere Gramsci sul frivolo palco di Sanremo, seguito da oltre 10 milioni di persone, che sicuramente avranno colto una frase, un'emozione, un ricordo in quelle parole, riproposte senza snobismo da Luca e Paolo, arrivando a tante tante persone con un testo attualissimo, che porta la data del 1917.
"Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L'indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L'indifferenza è il peso morto della storia. L'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l'intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l'assenteismo e l'indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch'io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l'attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti".

 

18-2-11

 

mercoledì 16 febbraio 2011

Presidio a Viareggio

IL MONDO CHE VORREI ONLUS

ASSOCIAZIONE FAMILIARI VITTIME 29 GIUGNO VIAREGGIO

CODICE FISCALE 91039790463

IBAN IT83 0069 1524 6000 0005 0382 480

PRESIDENTE DANIELA ROMBI CELL. 338 6885950

Viareggio, 15/02/11

A tutti i media

Domattina a Firenze, insieme al Sindaco Renzi e al Presidente della Regione Toscana Rossi, anche noi dell’ass. “Il Mondo Che Vorrei” onlus e “Assemblea 29 Giugno” saremo ad accogliere Mauro Moretti, il responsabile di quanto è avvenuto a Viareggio il 29 giugno 2009.

Saremo anche noi presenti per ricordare all’A.D. di Ferrovie dello Stato, al Cavaliere della Repubblica, all’indagato dr. M. Moretti;

  1. il nostro perenne dolore, il nostro desiderio di verità, giustizia e sicurezza;
  2. la nostra grande indignazione per le frasi ingiuriose da lui stesso pronunciate nelle audizioni parlamentari;
  3. e per ricordargli ancora che VIAREGGIO NON DIMENTICA, noi non dimenticheremo mai quel 29 giugno 2009 e ci troverà sempre presenti e attenti per sua buona memoria.

Assemblea 29 giugno Ass. “Il Mondo che Vorrei” onlus


La Repubblica

La difesa della Thyssen
"E' un processo politico"

Udienza di tensione al processo per i sette operai morti all'acciaieria di corso Regina Margherita. La difesa ha attaccato più volte: "E' un processo politico, una guerra al capitalismo". I familiari hanno lasciato l'aula


Il processo Thyssenkrupp è un "processo politico" che è stato strumentalizzato mediaticamente con imputazioni "distorte" e "frettolose" da parte della pubblica accusa: lo ha detto uno degli avvocati difensori, il genovese Andrea Garaventa, nel corso della sua arringa. Il penalista ha spiegato che, a suo avviso, si è voluto combattere un'azienda straniera che stava chiudendo uno stabilimento in Italia, "sia pure con tutte le garanzie per i lavoratori". I parenti delle vittime si sono alzati e hanno lasciato l'aula.
Prima l'avv. Maurizio Anglesio, parlando della posizione del responsabile della sicurezza dello stabilimento di Torino, imputato nel processo Thyssenkrupp. "La sola colpa di Cosimo Cauferi è di non aver potuto prevedere una sequenza di eventi come quella che provocò l'incendio. Avrebbe dovuto essere preveggente", ha aggiunto il legale. Secondo Anglesio, a Cafueri non possono essere attribuite responsabilità non sue. L'avvocato ha citato anche la testimonianza di Antonio Boccuzzi, che in aula parlò di Cafueri come di un dirigente che "invitava gli operai a non esporsi a rischi e a non fare gli eroi perchè la prima esigenza era non farsi male".
"Ha detto solo questo, Boccuzzi?" ha gridato in aula la mamma di una delle sette vittime.

(15 febbraio 2011)

Contro la Thyssen processo politico

16/02/2011 - La Stampa

"Contro la Thyssen processo politico"

Le madri delle vittime hanno lasciato l'aula in silenzio

Le madri delle vittime hanno lasciato l'aula in silenzio

L’arringa di uno dei difensori: «Inchiesta frettolosa»

ALBERTO GAINO

L’avvocato Andrea Garaventa surclassa i colleghi del collegio di difesa ThyssenKrupp con la sua arringa: «Questo è un processo politico, strumentalizzato mediaticamente, a una multinazionale straniera che aveva rilevato uno stabilimento italiano e lo stava chiudendo, pur con tutte le garanzie per i dipendenti». Il legale genovese passa generosamente ad elencarle: «Ai precari sono stati offerti contratti a tempo indeterminato per trasferirsi a Terni, a tutti gli operai anche incentivi per trovar casa nella città umbra. E poi l’azienda ha sostenuto economicamente le famiglie delle vittime sin da subito: la ThyssenKrupp non ha dimenticato che quegli uomini hanno dato la vita per l’azienda».

La linea difensiva si è spostata con Garaventa dalla colpevolizzazione strisciante delle 7 vittime dell’incendio del 6 dicembre 2007 al loro martirologio. Semmai sono i pm, per il legale, a «non aver reso onore alla loro memoria con l’inaccettabile giudizio sulla scarsa professionalità dei dipendenti». Garaventa è il medesimo avvocato che aveva escluso ci fosse stato un incendio nello stesso stabilimento. L’anno era il 2002: ci volle molto più di un giorno per spegnerlo. Sintonia perfetta con quanto sostenuto sempre ieri dal collega Maurizio Anglesio concludendo la sua, di arringa: «Quello del 6 dicembre è stato un fuoco, non un incendio».

Ciascuno vede come gli pare i fatti, anche in un’aula di Corte d’Assise. Per Garaventa i pm «sono affetti da ipertrofismo accusatorio, hanno costruito imputazioni distorte e in modo frettoloso, senza leggere gli atti, dispiegando le forze dell’ordine per giornate e giornate su questo caso». Non dice come la sorella avvocato: «In fondo, si è trattato di un infortunio sul lavoro». Lo lascia intendere. E prosegue diritto elencando tutti i più gravi successivi (o giù di lì) infortuni sul lavoro in Italia (Molfetta, Paderno, Fossano) per ribadire la tesi che gli deve premere molto (la ripeterà ancora): «Nessuno di quei casi ha avuto la stessa eco mediatica».

L’altro refrain è quello della fretta di Guariniello e colleghi che «volevano arrivare alla sentenza nel primo anniversario della tragedia». Per la cronaca, quella di ieri è stata la novantesima udienza. Garaventa descrive pure lui un’azienda, dall’ad ai dirigenti torinesi, impegnatissima ad investire nella sicurezza. «Altro che risparmiare. La notte della tragedia alla linea 5 c’erano i 5 addetti del turno, più altri 2, di quello precedente, in straordinario».

Per l’avvocato genovese ci sono «risultanze incontroverbili» contro l’imputazione di omicidio volontario di dolo eventuale per il solo Herald Espenhahn: «I precedenti incendi di Torino e Krefeld lo avevano reso consapevole e mai lui avrebbe voluto e potuto accettare simili rischi. Tanto più che la linea 5 (allestita nel 1972 e parzialmente rinnovata nel 1990, ndr.) non era affatto un vecchio impianto, ma un investimento da salvaguardare. Poteva l’ad accettare un danno disastroso come la distruzione dell’impianto?». Per Garaventa è risibile il «movente» degli 800 mila euro risparmiati: «Prevenivano da una provvista della casa madre per lo specifico scopo di migliorare la sicurezza. L’ad non avrebbe mai potuto spenderli per altro».

C’è pure una dedica per l’informazione: «Nell’immediatezza del fatto i giornali hanno dato ingiustificabile e superficiale risalto alla tesi degli estintori scarichi. Risultata infondata, hanno sposato quella dei pm sull’abbandono dello stabilimento alla deriva, anch’essa infodata». Le madri delle vittime hanno lasciato l’aula in silenzio molto prima che finisse l’arringa.

La Repubblica, 15 febbraio 2011

"Questo è un processo politico"

Per l'avvocato Garaventa l'incendio "è stato strumentalizzato per lanciare un attacco al capitale straniero". Secondo il legale non ci sono prove del dolo dell'azienda

"Il processo Thyssen è un processo politico, una vicenda strumentalizzata per lanciare un attacco al capitalismo straniero". La difesa degli imputati per il rogo del 6 dicembre 2009, che costò la vita a sette operai dello stabilimento di corso Regina Margherita, contrattacca con toni molto forti alla requisitoria della pubblica accusa. Lo fa con l'arringa dell'avvocato Andrea Garaventa, che evoca anche a una sorta di xenofobia nei confronti della multinazionale tedesca.

"La Thyssen - ha detto stamane il legale, mentre i parenti delle vittime uscivano dall'aula - è un'industria straniera, un'azienda che ha rilevato uno stabilimento italiana e per giunta lo stava chiudendo, sia pure con tutte le garanzie per i lavoratori. Per questo, in una guerra al capitale straniero, è stata data a questa vicenda un rilievo mediatico del tutto particolare, con imputazioni distorte e frettolose da parte della pubblica accusa".

Nel merito delle accuse, l'avvocato Garaventa ha contestato l'imputazione di omicidio volontario mossa all'ad Harald Espenhahn: "Dov'è - si è chiesto - la prova del dolo? La Thyssen non voleva certamente mandare a fuoco la linea 5, che anzi sarebbe dovuta essere trasferita a Terni. Quale interesse avrebbe avuto l'azienda? E poi anche i lavoratori costituivano un bene prezioso per l'acciaieria".


domenica 13 febbraio 2011

LA MATTINA DELL'11 FEBBRAIO, DURANTE L'UDIENZA DEL PROCESSO THYSSEN, MENTRE I COMPAGNI DEL CCP-PROLETARI COMUNISTI APPENDEVANO LO STRISCIONE DELLA RETE PER LA SICUREZZA SUI POSTI DI LAVORO, I CARABINIERI DI INSTANZA AL TRIBUNALE HANNO TENTATO DI STRAPPARE LO STRISCIONE DELLA RETE POSTO A FIANCO DI QUELLO RAFFIGURANTE I 7 OPERAI MORTI SULLA LINEA 5 DELLA THYSSEN. I COMPAGNI PRESENTI E IL PADRE DI UNO DEGLI OPERAI MORTI, HANNO REAGITO CON DETERMINAZIONE E SI SONO RIFIUTATI DI RIMUOVERE GLI STRISCIONI E DI FORNIRE LE LORO GENERALITA'. UN BRIGADIERE HA TENTATO DI PORTARE UN COMPAGNO ALL'INTERNO DEL TRIBUNALE MA I COMPAGNI PRESENTI LO HANNO FATTO DESISTERE DAL SUO INTENTO. LA PROVOCAZIONE DEI CARABINIERI NON E' QUINDI RIUSCITA E GLI STRISCIONI SONO RIMASTI APPESI ALLA CANCELLATA DEL TRIBUNALE. I CARABINIERI HANNO DICHIARATO DI AVERE SEGUITO LE DISPOSIZIONI DEL TRIBUNALE CHE VIETEREBBERO L'AFFISSIONE ALLA CANCELLATA E CHE QUINDI AVREBBERO SOLTANTO ESEGUITO GLI ORDINI DELLA PROCURA. MA, AL DI LA DI PRESUNTE O RELI DISPOSIZIONI DEL TRIBUNALE, RIMANE IL FATTO CHE DI FRONTE ALLA STRAGE DI SETTE OPERAI, LA PROPAGANDA E LA CONTROINFORMAZIONE SMUOVE LE COSCENZE E DISTURBA CHI VORREBBE CHE TUTTO RIMANESSE BLINDATO NELLE AULE DEL TRIBUNALE AL FINE DI FARE CALARE L'ATTENZIONE ATTORNO AD UNA STRAGE DI OPERAI CAUSATA DAI PADRONI ASSETATI DI PROFITTO! E' NECESSARIO NON CEDERE AI TENTATIVI INTIMIDATORI DI CHI VORREBBE CHE TUTTO SI INSABBIASSE SENZA CHE LE MASSE POPOLARI SAPPIANO E PRENDANO POSIZIONE! RINGRAZIAMO I PARFENTI DEI SETTE EROI DELLA THYSSEN CHE HANNO ASSUNTO CON DETERMINAZIONE LA DIFESA DEI COMPAGNI E IL DIRITTO DI INFORMARE E CONTROIFORMARE SULLA QUESTIONE DELLE VITTIME DEL LAVORO! Collettivo Comunista Piemontese colcompiemonte@yahoo.it tel. 3476558445 via saluzzo numero 13 c/o centro di documentazione LATIFA SDAIRI

mercoledì 9 febbraio 2011

La Repubblica

Eternit, altri mille casi
Inchiesta bis sull'amianto killer

Il nuovo fronte delle indagini riguarda casi registrati dal 2008 e diverse centinaia di decessi già trattati nel processo principale tuttora in corso

Ci sono mille nuove vicende di persone ammalate o decedute per esposizione all'amianto nell'inchiesta Eternit-bis, aperta dalla procura di Torino. Il nuovo fronte degli accertamenti riguarda casi registrati a partire dal 2008 e anche diverse centinaia di decessi già trattati nel processo principale, tuttora in corso a Palazzo di Giustizia, dove sono imputati il magnate svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier. In quel dibattimento si procede per disastro ambientale doloso. L'inchiesta-bis, invece, vuole accertare le responsabilità legate al reato di omicidio colposo.

Secondo quanto si apprende, per adesso si tratta di circa settecento lavoratori e di 269 residenti in una delle città sedi delle filiali Eternit (Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera e Bagnoli). Ci sono già alcune iscrizioni nel registro degli indagati, anche se le responsabilità non sono ancora state accertate con precisione e il quadro, nei prossimi mesi, potrebbe cambiare.

I pm Raffaele Guariniello, Sara Panelli e Gianfranco Colace vogliono individuare i colpevoli di ogni singolo caso di asbestosi e di mesotelioma. Le cifre sono imponenti: le nuove vicende al vaglio dei magistrati sono quelle di circa 700 lavoratori e di 269 persone che abitavano in una delle quattro città; il processo Eternit riguarda quasi 2.200 decessi, ma solo alcune centinaia, i più recenti, verranno passati al setaccio, perchè per gli altri potrebbero sorgere dei problemi legati alla prescrizione.

L'indagine riguarda anche le vicende degli italiani che lavorarono alle dipendenze dell'Eternit in Svizzera, presso la casa madre, e in Brasile. I dati relativi ai casi elvetici sono già da tempo negli archivi del Palazzo di Giustizia torinese: Guariniello e i suoi collaboratori sono riusciti a farseli mandare alcuni anni fa dopo una durissima battaglia a colpi di carte bollate con la magistratura di Glarona, il piccolo cantone svizzero in cui ha sede la multinazionale. Con il Sud America il discorso è stato aperto qualche mese fa. Guariniello ha inoltrato una rogatoria, e le autorità brasiliane hanno appena risposto chiedendo una serie di dettagli e di chiarimenti.

I dirigenti Eternit avevano promosso una vera e propria campagna di reclutamento, a Casale Monferrato, per convincere i lavoratori piemontesi a trasferirsi nella filiale di Rio de Janeiro. Uno di loro, dopo essere rientrato nella provincia di Alessandria, morì di mesotelioma: è suo il caso numero uno, quello che ha convinto i magistrati ad allargare il fronte di indagine oltre l'Atlantico.

)

 
Storia di un disoccupato


Scritto da DirittiDistorti   
Martedì 08 Febbraio 2011

Di Tano Lancusi* - Sono nato poco più di 40 anni fa. Sin da bambino ero attratto dalle materie scientifiche, tanto che accanto agli episodi di "Goldrake", "Happy Days" e "Spazio 1999", non perdevo neanche una puntata dell'allora "Quark" di Piero Angela, mentre le riviste tecniche prendevano il posto dei fumetti. Nel periodo in cui molti adolescenti si dividevano nell'idolatrare gli Spandau Ballet o i Duran Duran, il mio mito incontrastato era invece il Nobel Carlo Rubbia.
Sospinto dalla passione e dai brillanti risultati scolastici, sognavo di diventare "qualcuno", di lavorare in importanti progetti di ricerca, magari alla scoperta di "qualcosa" che avrebbe positivamente rivoluzionato il mondo.
Sapevo bene però che un sogno è una grande torta il cui profumo dona grossi stimoli, ma della quale spesso si riesce a consumare soltanto una fetta. Non immaginavo invece che la stessa torta mi sarebbe poi stata catapultata contro, peggio di un violento pugno sferrato in pieno petto ... perché? Se avrete la pazienza di leggere per intero questa mia testimonianza, lo scoprirete.
ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO
Subito dopo la laurea in ingegneria a pieni voti, ebbi la possibilità di poter scegliere fra diverse proposte di lavoro... erano altri tempi e, soprattutto, ero giovane! Firmai un contratto a tempo indeterminato in qualità di progettista presso un'industria che sembrava potesse ricambiare almeno in parte le mie aspettative e la dedizione che sono abituato in profondere in tutto ciò in cui credo.
In un primo tempo pensai di aver trovato in azienda un ambiente tranquillo, colleghi cordiali, orientamento ai risultati e alla produttività: in pratica il contesto ideale per me. In effetti riuscii in breve tempo, seppure da inesperto neolaureato, a fornire già un deciso contributo evolutivo al
prodotto di cui mi occupavo.
Ma dopo pochi mesi dall'assunzione, ecco sopraggiungere i primi sintomi dello scadimento finora nascosto: dalle conversazioni tra colleghi, iniziai a prendere coscienza dell'esistenza di tante piccole "parrocchie" a cui appartenevano molti dipendenti o forse quasi tutti; ogni parrocchia era poi
sotto la protezione di un Mister X più o meno noto. Ciò mi aiutò a comprendere i motivi di ciò che già stava accadendo: fuga dei migliori alla ricerca dei propri meriti, ciarlieri fumosi investiti da ruoli di responsabilità, esosi quanto inutili incarichi di consulenza esterna, lavoro caricato su pochi soggetti, mentre altri in cerca soltanto di consenso e potere tra un caffè e una chiacchierata. Il declino dell'azienda era del resto già cominciato da qualche anno.
Le tenebre si stavano avvicinando, tenebre ancor più profonde a causa degli atteggiamenti del mio nuovo capo: una persona tecnicamente preparata, ma assolutamente egocentrica e sprezzante del termine "rispetto". Se uno dei suoi obiettivi era di schiacciarmi professionalmente per sbarazzarsi di un possibile futuro ostacolo nel suo percorso di carriera, aveva senz'altro trovato in me carne tenera e facilmente macinabile.
Per me, con un carattere fin troppo docile e rispettoso delle regole, era praticamente impossibile divincolarmi tra l'incudine dettata dall'ostilità dell'ambiente circostante e il martello usato dal mio responsabile. In pratica avevo preclusa ogni possibilità di inserimento nelle maggiori
attività di progettazione periodicamente intraprese.
I miei compiti restavano svariati, in parte anche manuali, ma l'hardware e il software a cui ambivo, li ho dovuti trattare troppo spesso soltanto in qualità di tappabuchi o come riparatore di errori altrui.
La mia giornata in effetti era interminabile, poiché il termine dell'orario lavorativo coincideva ogni volta con l'inizio dell'attività di autoapprendimento tesa ad arricchire il mio bagaglio di esperienze e in qualche modo ad intiepidire il congelamento professionale riservatomi.
Così facendo sono comunque riuscito a raggiungere una situazione di equilibrio, sostenuta dall'evidenza di riuscire ad essere, nonostante tutto, inferiore solo a pochi espertissimi colleghi a qualcuno dei quali devo peraltro viva gratitudine per gli insegnamenti che mi ha impartito.
LA CRISI INCALZA
Intanto la crisi aziendale continuava a galoppare, arrivando al periodo immediatamente successivo la disumana strage delle Twin Towers. L'azienda aprì la cassa integrazione straordinaria che giunse a durare ben quattro anni.
Non è difficile indovinare che io fui costretto a respirare sola aria di casa per più di tre anni di quei quattro, salvato in extremis semplicemente perchè un mio collega, che nel frattempo aveva assunto in pieno le mie mansioni, mi aveva 'gentilmente' restituito il posto perchè adibito a un nuovo progetto.
Quelli della cassa integrazione furono lunghi anni, vissuti con la crescente coscienza che l'ombra dei 40 anni di età mi avrebbe oscurato ogni altra possibilità di impiego. Eppure dovevo considerarmi fortunato rispetto ai 40 dipendenti licenziati pochi mesi dopo, quasi tutti giovani impiegati.
Subirono la stessa sorte anche alcuni operai scelti però soltanto tra coloro che avessero raggiunto il pensionamento durante il periodo di mobilità. Il 2006, anno del mio rientro dalla cassa integrazione, coincise con un periodo meno negativo per l'azienda: difficile comprendere se per questioni contingenti oppure perchè traghettata dalle idee chiare di un giovane amministratore che nel frattempo ne aveva preso le redini. Indubbiamente una delle poche persone positive viste al timone, ma costretto a dare le dimissioni dopo qualche anno.
Intanto nei corridoi si mettevano bella mostra colleghi ritrovati e facce
nuove. I colleghi ritrovati erano superstiti salvati dal naufragio di brandelli di piccole società del gruppo create e poi chiuse da precedenti amministrazioni ... per la serie "quando si vuole miracolare".
Le facce nuove erano invece giovani neoassunti a livelli già a ridosso del quadro ... vabbè, pensavo ... ben vengano, forse sono cervelloni in grado di salvare capra e cavoli.
Intanto però in pochi mesi il numero dei dipendenti era salito vertiginosamente, superando abbondantemente quello precedente alla prima ondata di licenziamenti. Eppure non si può dire "c'è qualcosa che non va" perchè "anormalità" erano ormai diventata sinonimo di "normalità".

ALTRI LICENZIAMENTI IN ARRIVO
Arriviamo stancamente ai giorni nostri, agli albori della ben nota crisi economica attuale. Quale occasione migliore per gettar via altra zavorra umana da un sistema diventato nuovamente pesante?
Stavolta viene escogitato qualcosa di geniale: si vuole licenziare subito, senza passare neanche per un giorno di cassa integrazione! E' ovvio che la notizia scatenò un forte fermento da parte di tutti i
dipendenti. Ma l'inquietudine ebbe durata relativamente breve: si passò in men che non si dica ad un surreale stato di calma nonostante la gravità dell'annuncio. Vi chiederete perché ... ve lo spiego subito.
Con gli operai c'era poco margine di azione: i sindacati hanno sempre mostrato di saperli difendere molto bene con l'arma dello sciopero e del blocco della produzione.
La partita si giocava allora con gli impiegati: tra questi sì che ci si può sbizzarrire con i tagli. L'imperativo era però operare un taglio chirurgico, vale a dire colpire gli impiegati a minore rendimento o quelli non protetti? Lascio a voi intuire la risposta.
La legge sulla mobilità impone precise regole non di certo nominative per la scelta delle vittime, a meno che ... i sindacati non firmino l'accordo sui licenziamenti. Infatti con il placet sindacale, l'azienda è libera di buttare fuori chi vuole o almeno rende molto più incerto l'esito di un eventuale ricorso legale. La strada sembra però difficilmente praticabile, in quanto con quale faccia i sindacati avrebbero avallato altri 50
licenziamenti senza battere ciglio?
LA COSPIRAZIONE
Il buon condottiero conosce bene le regole di guerra e sa che per poter sferrare al nemico il colpo fatale, è opportuno prima isolarlo.
Ecco allora partire in avanscoperta i "servizi segreti". Il loro scopo era di informare direttamente o indirettamente gli impiegati da confermare e nel contempo incitarli alla cospirazione contro il nemico, ovvero contro i colleghi da silurare. I contatti sottovoce si infittiscono a danno delle
voci grosse: da qui lo stato di calma surreale al quale ho accennato prima. La fase successiva del piano vede salire in cattedra proprio i cospiratori, nella fattispecie alcuni impiegati ben ammanigliati, capaci di mettere in atto un vero e proprio teatrino di strada. La farsa aveva una trama incentrata sul tentativo palesemente improbo di far credere che loro per primi sarebbero stati lieti di lasciare un'azienda in crisi con il risicato incentivo economico offerto.
Ebbene, le ovvie e civilissime rimostranze di noi vittime predestinate, sono servite soltanto ad inasprire i toni del confronto. I cospiratori hanno iniziato a prenderci gusto ed a calarsi in maniera sempre più calzante nel ruolo di attori. Il loro fare ha iniziato a prendere la forma di una vera e propria violenza psicologica nei confronti di colleghi con i quali, fino a pochi giorni prima, avevano condiviso quotidianità e interessi comuni.
Il top dell'arte recitativa veniva messa in opera soprattutto in occasione delle assemblee, ove gli attori protagonisti prendevano la parola per ribadire le teorie promosse, con voce altezzosa. Ancora una volta, noi vittime, ci guardavamo l'un con l'altra dibattute fra prostrazione e sbigottimento e, anziché reagire, non facevamo altro che aumentare inermi la nostra incredulità di fronte al lercio cannibalismo verbale.
La cospirazione sta producendo gli effetti sperati: il nemico è stato non solo isolato ma anche ammansito. Per sancire la messa in minoranza del nemico anche agli occhi dei sindacati, va però messo nero su bianco. Ecco allora sbucare un foglio in cui ogni dipendente era "invitato" a sottoscrivere la sua volontà affinché l'azienda procedesse ai 50 licenziamenti annunciati.
A riprova del complotto, l'iniziativa ebbe immediatamente largo consenso e le uniche caselle rimaste senza firma erano guarda caso quelle dei futuri licenziati e di pochissimi dissidenti.
I dissidenti erano alcuni dipendenti che, pur rassicurati di non perdere il lavoro, erano riusciti a fare i conti con la propria coscienza. Ma proprio ai loro danni è stata consumata l'apoteosi del disgusto. Infatti, per loro stessa amara ammissione, si sono ritrovati investiti delle minacce lanciate da uno dei "signori della guerra", uno di quelli non di certo nuovo ad atti intimidatori pur di consolidare il suo potere. Di fronte ai rischi prospettati e alla futile difesa di principi diluiti nel mare di soprusi, anche i dissidenti hanno pensato bene di allegare formalmente il proprio nome tra i favorevoli ai licenziamenti.
E' così andato a completarsi anche il documento scritto attestante la volontà da parte della maggioranza dei dipendenti (dirigenti e consulenti compresi) di procedere al taglio di personale conforme alla volontà aziendale. Ma i sindacati potranno mai usare questo documento come alibi per poter avallare tutti i licenziamenti? Beh, ricordando quali sono gli interessi che in teoria i sindacati sono chiamati a difendere, la risposta sarebbe spontaneamente orientata verso un assoluto no! Eppure la pratica non sempre coincide con la teoria. La realtà vuole che a presentarsi attorno al tavolo delle trattative per firmare o meno i licenziamenti, siano tre persone, ovvero un rappresentante di ciascuna delle confederazioni sindacali.
Le persone, come è noto, non sono infallibili: ognuna è dotata della sua virtù, della sua coscienza, della sua vulnerabilità, della sua debolezza. Forse sono state proprio queste ultime a prevalere su due dei tre rappresentanti sindacali, consentendo di fatto la chiusura dell'accordo e l'accoglimento in toto delle volontà aziendali.
In particolare, l'azienda ha goduto di piena libertà decisionale sugli impiegati da licenziare, mentre gli operai congedabili poteva sceglierli anche stavolta solo tra coloro che avessero maturato i requisiti pensionistici durante la mobilità.
Il plotone di esecuzione ha finalmente potuto attuare la sentenza di condanna del nemico, indipendentemente dai più elementari criteri di carico di famiglia, anzianità di servizio, rendimento lavorativo e valore professionale.
IL DAY AFTER
Nel giorno successivo a quello dei licenziamenti, alcuni alti dirigenti si sono dedicati una insolita passeggiata tra i dipendenti rimasti, fieri delle loro gesta, annusando in prima persona le salme adagiate sulle scrivanie rimaste silenti e celebrando l'agognata vittoria assieme agli impiegati impavidamente battutisi al loro fianco. Per questi ultimi erano infatti già pronte le medaglie d'oro al valor militare, ovvero la gratificazione dell'avanzamento di livello. Vi sembrano normali le progressioni di carriera e di stipendio elargite da un'azienda in crisi subito dopo un severo taglio di personale? Io direi proprio di no!
Il lettore più smaliziato potrebbe chiedermi a questo punto: i tanti licenziamenti hanno comunque evitato la chiusura dell'azienda e quindi tutto sommato sono valsi a salvaguardare e non a sopprimere posti di lavoro. Il riscontro negativo di tale supposizione è dimostrato dagli eventi successivi.
In pratica, dopo pochi mesi dall'attuazione dei licenziamenti, l'azienda ha sottoposto tutti i restanti operai ed impiegati al regime economico del contratto di solidarietà, con colossale alleggerimento della voce retribuzioni della contabilità aziendale. Sarebbe stato allora davvero impossibile, come si voleva far credere, evitare i licenziamenti ed inserire TUTTI nella scialuppa dei contratti di solidarietà, tenendo conto che in questo caso i costi sarebbero stati nettamente minori rispetto ai notevoli esborsi conseguenti a liquidazioni, spettanze varie ed incentivi dei lavoratori licenziati? E le tante promozioni dispensate subito dopo i licenziamenti?
Insomma, le mosse aziendali peraltro avallate dall'accordo sindacale, non farebbero chiudere il cerchio verso logiche né di amor proprio né di rispetto della dignità dei dipendenti sbattuti per strada.
Ora, a distanza di più di un anno da quei giorni sventurati, ho scritto questa mia dissertazione né per rancore né per scuotere la coscienza di chi non ce l'ha, ma solo per mostrare uno spaccato di fatti realmente accaduti e aggiungere anche il mio tra i tanti ceri accesi accanto ai cadaveri chiamati
meritocrazia ed equità, seppelliti dalla montagna di cenere degli innumerevoli sacrifici bruciati.
Al momento resta una constatazione ancora più amara, secondo cui l'intensa determinazione usata per scavare almeno un minimo spiraglio nel percorso del post licenziamento, sta lentamente ma inesorabilmente lasciando spazio alla disperazione sostenuta dalla consapevolezza di essere stato definitivamente depredato della vita professionale e forse non solo.

8-2-11


*Attento lettore di Diritti Distorti, che ha voluto renderci questa importante testimonianza

 


Scritto da DirittiDistorti


Storia di un disoccupato




  
Martedì 08 Febbraio 2011

Di Tano Lancusi* - Sono nato poco più di 40 anni fa. Sin da bambino ero attratto dalle materie scientifiche, tanto che accanto agli episodi di "Goldrake", "Happy Days" e "Spazio 1999", non perdevo neanche una puntata dell'allora "Quark" di Piero Angela, mentre le riviste tecniche prendevano il posto dei fumetti. Nel periodo in cui molti adolescenti si dividevano nell'idolatrare gli Spandau Ballet o i Duran Duran, il mio mito incontrastato era invece il Nobel Carlo Rubbia.
Sospinto dalla passione e dai brillanti risultati scolastici, sognavo di diventare "qualcuno", di lavorare in importanti progetti di ricerca, magari alla scoperta di "qualcosa" che avrebbe positivamente rivoluzionato il mondo.
Sapevo bene però che un sogno è una grande torta il cui profumo dona grossi stimoli, ma della quale spesso si riesce a consumare soltanto una fetta. Non immaginavo invece che la stessa torta mi sarebbe poi stata catapultata contro, peggio di un violento pugno sferrato in pieno petto ... perché? Se avrete la pazienza di leggere per intero questa mia testimonianza, lo scoprirete.
ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO
Subito dopo la laurea in ingegneria a pieni voti, ebbi la possibilità di poter scegliere fra diverse proposte di lavoro... erano altri tempi e, soprattutto, ero giovane! Firmai un contratto a tempo indeterminato in qualità di progettista presso un'industria che sembrava potesse ricambiare almeno in parte le mie aspettative e la dedizione che sono abituato in profondere in tutto ciò in cui credo.
In un primo tempo pensai di aver trovato in azienda un ambiente tranquillo, colleghi cordiali, orientamento ai risultati e alla produttività: in pratica il contesto ideale per me. In effetti riuscii in breve tempo, seppure da inesperto neolaureato, a fornire già un deciso contributo evolutivo al
prodotto di cui mi occupavo.
Ma dopo pochi mesi dall'assunzione, ecco sopraggiungere i primi sintomi dello scadimento finora nascosto: dalle conversazioni tra colleghi, iniziai a prendere coscienza dell'esistenza di tante piccole "parrocchie" a cui appartenevano molti dipendenti o forse quasi tutti; ogni parrocchia era poi
sotto la protezione di un Mister X più o meno noto. Ciò mi aiutò a comprendere i motivi di ciò che già stava accadendo: fuga dei migliori alla ricerca dei propri meriti, ciarlieri fumosi investiti da ruoli di responsabilità, esosi quanto inutili incarichi di consulenza esterna, lavoro caricato su pochi soggetti, mentre altri in cerca soltanto di consenso e potere tra un caffè e una chiacchierata. Il declino dell'azienda era del resto già cominciato da qualche anno.
Le tenebre si stavano avvicinando, tenebre ancor più profonde a causa degli atteggiamenti del mio nuovo capo: una persona tecnicamente preparata, ma assolutamente egocentrica e sprezzante del termine "rispetto". Se uno dei suoi obiettivi era di schiacciarmi professionalmente per sbarazzarsi di un possibile futuro ostacolo nel suo percorso di carriera, aveva senz'altro trovato in me carne tenera e facilmente macinabile.
Per me, con un carattere fin troppo docile e rispettoso delle regole, era praticamente impossibile divincolarmi tra l'incudine dettata dall'ostilità dell'ambiente circostante e il martello usato dal mio responsabile. In pratica avevo preclusa ogni possibilità di inserimento nelle maggiori
attività di progettazione periodicamente intraprese.
I miei compiti restavano svariati, in parte anche manuali, ma l'hardware e il software a cui ambivo, li ho dovuti trattare troppo spesso soltanto in qualità di tappabuchi o come riparatore di errori altrui.
La mia giornata in effetti era interminabile, poiché il termine dell'orario lavorativo coincideva ogni volta con l'inizio dell'attività di autoapprendimento tesa ad arricchire il mio bagaglio di esperienze e in qualche modo ad intiepidire il congelamento professionale riservatomi.
Così facendo sono comunque riuscito a raggiungere una situazione di equilibrio, sostenuta dall'evidenza di riuscire ad essere, nonostante tutto, inferiore solo a pochi espertissimi colleghi a qualcuno dei quali devo peraltro viva gratitudine per gli insegnamenti che mi ha impartito.
LA CRISI INCALZA
Intanto la crisi aziendale continuava a galoppare, arrivando al periodo immediatamente successivo la disumana strage delle Twin Towers. L'azienda aprì la cassa integrazione straordinaria che giunse a durare ben quattro anni.
Non è difficile indovinare che io fui costretto a respirare sola aria di casa per più di tre anni di quei quattro, salvato in extremis semplicemente perchè un mio collega, che nel frattempo aveva assunto in pieno le mie mansioni, mi aveva 'gentilmente' restituito il posto perchè adibito a un nuovo progetto.
Quelli della cassa integrazione furono lunghi anni, vissuti con la crescente coscienza che l'ombra dei 40 anni di età mi avrebbe oscurato ogni altra possibilità di impiego. Eppure dovevo considerarmi fortunato rispetto ai 40 dipendenti licenziati pochi mesi dopo, quasi tutti giovani impiegati.
Subirono la stessa sorte anche alcuni operai scelti però soltanto tra coloro che avessero raggiunto il pensionamento durante il periodo di mobilità. Il 2006, anno del mio rientro dalla cassa integrazione, coincise con un periodo meno negativo per l'azienda: difficile comprendere se per questioni contingenti oppure perchè traghettata dalle idee chiare di un giovane amministratore che nel frattempo ne aveva preso le redini. Indubbiamente una delle poche persone positive viste al timone, ma costretto a dare le dimissioni dopo qualche anno.
Intanto nei corridoi si mettevano bella mostra colleghi ritrovati e facce
nuove. I colleghi ritrovati erano superstiti salvati dal naufragio di brandelli di piccole società del gruppo create e poi chiuse da precedenti amministrazioni ... per la serie "quando si vuole miracolare".
Le facce nuove erano invece giovani neoassunti a livelli già a ridosso del quadro ... vabbè, pensavo ... ben vengano, forse sono cervelloni in grado di salvare capra e cavoli.
Intanto però in pochi mesi il numero dei dipendenti era salito vertiginosamente, superando abbondantemente quello precedente alla prima ondata di licenziamenti. Eppure non si può dire "c'è qualcosa che non va" perchè "anormalità" erano ormai diventata sinonimo di "normalità".

ALTRI LICENZIAMENTI IN ARRIVO
Arriviamo stancamente ai giorni nostri, agli albori della ben nota crisi economica attuale. Quale occasione migliore per gettar via altra zavorra umana da un sistema diventato nuovamente pesante?
Stavolta viene escogitato qualcosa di geniale: si vuole licenziare subito, senza passare neanche per un giorno di cassa integrazione! E' ovvio che la notizia scatenò un forte fermento da parte di tutti i
dipendenti. Ma l'inquietudine ebbe durata relativamente breve: si passò in men che non si dica ad un surreale stato di calma nonostante la gravità dell'annuncio. Vi chiederete perché ... ve lo spiego subito.
Con gli operai c'era poco margine di azione: i sindacati hanno sempre mostrato di saperli difendere molto bene con l'arma dello sciopero e del blocco della produzione.
La partita si giocava allora con gli impiegati: tra questi sì che ci si può sbizzarrire con i tagli. L'imperativo era però operare un taglio chirurgico, vale a dire colpire gli impiegati a minore rendimento o quelli non protetti? Lascio a voi intuire la risposta.
La legge sulla mobilità impone precise regole non di certo nominative per la scelta delle vittime, a meno che ... i sindacati non firmino l'accordo sui licenziamenti. Infatti con il placet sindacale, l'azienda è libera di buttare fuori chi vuole o almeno rende molto più incerto l'esito di un eventuale ricorso legale. La strada sembra però difficilmente praticabile, in quanto con quale faccia i sindacati avrebbero avallato altri 50
licenziamenti senza battere ciglio?
LA COSPIRAZIONE
Il buon condottiero conosce bene le regole di guerra e sa che per poter sferrare al nemico il colpo fatale, è opportuno prima isolarlo.
Ecco allora partire in avanscoperta i "servizi segreti". Il loro scopo era di informare direttamente o indirettamente gli impiegati da confermare e nel contempo incitarli alla cospirazione contro il nemico, ovvero contro i colleghi da silurare. I contatti sottovoce si infittiscono a danno delle
voci grosse: da qui lo stato di calma surreale al quale ho accennato prima. La fase successiva del piano vede salire in cattedra proprio i cospiratori, nella fattispecie alcuni impiegati ben ammanigliati, capaci di mettere in atto un vero e proprio teatrino di strada. La farsa aveva una trama incentrata sul tentativo palesemente improbo di far credere che loro per primi sarebbero stati lieti di lasciare un'azienda in crisi con il risicato incentivo economico offerto.
Ebbene, le ovvie e civilissime rimostranze di noi vittime predestinate, sono servite soltanto ad inasprire i toni del confronto. I cospiratori hanno iniziato a prenderci gusto ed a calarsi in maniera sempre più calzante nel ruolo di attori. Il loro fare ha iniziato a prendere la forma di una vera e propria violenza psicologica nei confronti di colleghi con i quali, fino a pochi giorni prima, avevano condiviso quotidianità e interessi comuni.
Il top dell'arte recitativa veniva messa in opera soprattutto in occasione delle assemblee, ove gli attori protagonisti prendevano la parola per ribadire le teorie promosse, con voce altezzosa. Ancora una volta, noi vittime, ci guardavamo l'un con l'altra dibattute fra prostrazione e sbigottimento e, anziché reagire, non facevamo altro che aumentare inermi la nostra incredulità di fronte al lercio cannibalismo verbale.
La cospirazione sta producendo gli effetti sperati: il nemico è stato non solo isolato ma anche ammansito. Per sancire la messa in minoranza del nemico anche agli occhi dei sindacati, va però messo nero su bianco. Ecco allora sbucare un foglio in cui ogni dipendente era "invitato" a sottoscrivere la sua volontà affinché l'azienda procedesse ai 50 licenziamenti annunciati.
A riprova del complotto, l'iniziativa ebbe immediatamente largo consenso e le uniche caselle rimaste senza firma erano guarda caso quelle dei futuri licenziati e di pochissimi dissidenti.
I dissidenti erano alcuni dipendenti che, pur rassicurati di non perdere il lavoro, erano riusciti a fare i conti con la propria coscienza. Ma proprio ai loro danni è stata consumata l'apoteosi del disgusto. Infatti, per loro stessa amara ammissione, si sono ritrovati investiti delle minacce lanciate da uno dei "signori della guerra", uno di quelli non di certo nuovo ad atti intimidatori pur di consolidare il suo potere. Di fronte ai rischi prospettati e alla futile difesa di principi diluiti nel mare di soprusi, anche i dissidenti hanno pensato bene di allegare formalmente il proprio nome tra i favorevoli ai licenziamenti.
E' così andato a completarsi anche il documento scritto attestante la volontà da parte della maggioranza dei dipendenti (dirigenti e consulenti compresi) di procedere al taglio di personale conforme alla volontà aziendale. Ma i sindacati potranno mai usare questo documento come alibi per poter avallare tutti i licenziamenti? Beh, ricordando quali sono gli interessi che in teoria i sindacati sono chiamati a difendere, la risposta sarebbe spontaneamente orientata verso un assoluto no! Eppure la pratica non sempre coincide con la teoria. La realtà vuole che a presentarsi attorno al tavolo delle trattative per firmare o meno i licenziamenti, siano tre persone, ovvero un rappresentante di ciascuna delle confederazioni sindacali.
Le persone, come è noto, non sono infallibili: ognuna è dotata della sua virtù, della sua coscienza, della sua vulnerabilità, della sua debolezza. Forse sono state proprio queste ultime a prevalere su due dei tre rappresentanti sindacali, consentendo di fatto la chiusura dell'accordo e l'accoglimento in toto delle volontà aziendali.
In particolare, l'azienda ha goduto di piena libertà decisionale sugli impiegati da licenziare, mentre gli operai congedabili poteva sceglierli anche stavolta solo tra coloro che avessero maturato i requisiti pensionistici durante la mobilità.
Il plotone di esecuzione ha finalmente potuto attuare la sentenza di condanna del nemico, indipendentemente dai più elementari criteri di carico di famiglia, anzianità di servizio, rendimento lavorativo e valore professionale.
IL DAY AFTER
Nel giorno successivo a quello dei licenziamenti, alcuni alti dirigenti si sono dedicati una insolita passeggiata tra i dipendenti rimasti, fieri delle loro gesta, annusando in prima persona le salme adagiate sulle scrivanie rimaste silenti e celebrando l'agognata vittoria assieme agli impiegati impavidamente battutisi al loro fianco. Per questi ultimi erano infatti già pronte le medaglie d'oro al valor militare, ovvero la gratificazione dell'avanzamento di livello. Vi sembrano normali le progressioni di carriera e di stipendio elargite da un'azienda in crisi subito dopo un severo taglio di personale? Io direi proprio di no!
Il lettore più smaliziato potrebbe chiedermi a questo punto: i tanti licenziamenti hanno comunque evitato la chiusura dell'azienda e quindi tutto sommato sono valsi a salvaguardare e non a sopprimere posti di lavoro. Il riscontro negativo di tale supposizione è dimostrato dagli eventi successivi.
In pratica, dopo pochi mesi dall'attuazione dei licenziamenti, l'azienda ha sottoposto tutti i restanti operai ed impiegati al regime economico del contratto di solidarietà, con colossale alleggerimento della voce retribuzioni della contabilità aziendale. Sarebbe stato allora davvero impossibile, come si voleva far credere, evitare i licenziamenti ed inserire TUTTI nella scialuppa dei contratti di solidarietà, tenendo conto che in questo caso i costi sarebbero stati nettamente minori rispetto ai notevoli esborsi conseguenti a liquidazioni, spettanze varie ed incentivi dei lavoratori licenziati? E le tante promozioni dispensate subito dopo i licenziamenti?
Insomma, le mosse aziendali peraltro avallate dall'accordo sindacale, non farebbero chiudere il cerchio verso logiche né di amor proprio né di rispetto della dignità dei dipendenti sbattuti per strada.
Ora, a distanza di più di un anno da quei giorni sventurati, ho scritto questa mia dissertazione né per rancore né per scuotere la coscienza di chi non ce l'ha, ma solo per mostrare uno spaccato di fatti realmente accaduti e aggiungere anche il mio tra i tanti ceri accesi accanto ai cadaveri chiamati
meritocrazia ed equità, seppelliti dalla montagna di cenere degli innumerevoli sacrifici bruciati.
Al momento resta una constatazione ancora più amara, secondo cui l'intensa determinazione usata per scavare almeno un minimo spiraglio nel percorso del post licenziamento, sta lentamente ma inesorabilmente lasciando spazio alla disperazione sostenuta dalla consapevolezza di essere stato definitivamente depredato della vita professionale e forse non solo.

8-2-11


*Attento lettore di Diritti Distorti, che ha voluto renderci questa importante testimonianza


martedì 8 febbraio 2011

La Repubblica

Processo Eternit: "A Casale
la sindrome di Chernobyl"

Lo ha affermato un consulente nella sua deposizione: i lavoratori e i cittadini casalesi vivono con la paura costante di contrarre un giorno una malattia legata all'amianto

Processo Eternit: "A Casale la sindrome di Chernobyl"

Per colpa dell'amianto lavorato per decenni alla Eternit i cittadini di Casale Monferrato (Alessandria) vivono nel "terrore", al punto che si può parlare di un vero e proprio "disastro psicologico e sociale": è il commento dell'avvocato Laura D'Amico, parte civile per la Cgil locale e regionale nel processo contro la multinazionale, dopo l'intervento del suo consulente, l'oncologa Daniela Degiovanni.
A Casale Monferrato i casi di tumore da amianto si contano a migliaia: il capo d'accusa elenca 1.649 decessi, ma dal 2008 in avanti la lista si è allungata e il picco - dicono gli epidemiologi - non è ancora stato toccato. Solo dal 14 aprile al 31 dicembre 2010 sono stati ricoverati 277 pazienti. "La gente - spiega l'avvocato D'Amico - trema al primo colpo di tosse. Tutti sanno tutto della malattia, dei sintomi, del dolore che si prova. E questo ha inciso profondamente nelle coscienze".
La situazione è tale che, come ha spiegato la Degiovanni, lo scorso anno è stato attivato, grazie alla collaborazione fra l'Asl di zona e l'Università di Torino, "un progetto di intervento psicologico alla popolazione", che prevede "un gruppo terapeutico che con cadenza settimanale accoglie e segue cittadini sani, vittime e familiari". Il medico, nel suo intervento, si è soffermato sull'incidenza di casi di "disturbo post traumatico da stress", una sindrome che si registra in luoghi come Cernobyl. "Sempre più di frequente - ha fatto osservare la Degiovanni - succede di ricevere telefonate o mail da persone residenti in altre regioni che pongono (ai medici casalesi - ndr) quesiti relativi alla sicurezza di venire a Casale per periodi più o meno lunghi, per motivi di lavoro, di visite a parenti, di turismo. La ferita, per i casalesi, è tale da gravare sulla salute e, più in generale, sulla qualità della vita presente e futura dell'intera comunità".

(07 febbraio 2011)


La Repubblica

Processo breve, il Pdl accelera
Scontro con le opposizioni. No Anm

Il capogruppo in Commissione Giustizia della Camera, Enrico Costa, ha chiesto di rimettere all'ordine del giorno dei lavori di questa settimana l'esame del ddl. Pd: "Ci opporremo con ogni mezzo". De Magistris (Idv): "Impunità ad ogni prezzo". Fli: "Mobilitazione nelle piazze". I magistrati: Serve altro, produrrà effetti devastanti

ROMA - Nuovo scontro sulla giustizia tra maggioranza e opposizione. Con l'Anm che torna a lanciare l'allarme sugli "effetti devastanti" che alcune riforme potrebbero produrre sul sistema. Il capo gruppo del Pdl in Commissione Giustizia della Camera, Enrico Costa, ha chiesto con una lettera in Commissione di rimettere all'ordine del giorno dei lavori di questa settimana l'esame del ddl sul processo breve. Il provvedimento è all'esame della Commissione presieduta dalla finiana Giulia Bongiorno già dal gennaio scorso. Ma, dopo numerose audizioni, di questo provvedimento non si è più parlato.

Nei giorni scorsi era stato il Guardasigilli Angelino Alfano ad annunciare la nuova mossa dell'esecutivo. "Il tema non è mai stato cancellato dall'agenda politica della nostra coalizione ed anche pronunciamenti recenti della Corte di Strasburgo richiamano l'Italia ad una accelerazione dei processi" aveva detto il ministro. Sullo sviluppo complessivo del disegno di legge, Alfano aveva affermato che "non ci sono enormi contrasti, tant'è che numerosi ddl della sinistra italiana andavano in quella direzione, magari con dettagli diversi ma con la stessa sostanza".

L'accelerazione del Pdl sul processo breve innesca l'immediata reazione delle forze d'opposizione. Il Pd, attraverso il capogruppo in commissione Giustizia, Donatella Ferranti, e il responsabile Giustizia del partito, Andrea Orlando, giudica "irresponsabile" la richiesta del Pdl di rimettere all'ordine del giorno il ddl, a cui "ci opporremo duramente". "Quel provvedimento non serve ai cittadini e metterà in ginocchio il sistema giustizia, cancellerà centinaia di migliaia di processi vanificando così il fruttuoso lavoro dello Stato nella lotta alla criminalità" a cui si aggiunge lo "spreco inaudito di risorse economiche visto che in un colpo solo si getteranno al macero tutte quelle indagini che hanno avuto necessità di complessi accertamenti, a partire da quelle economiche". Per il Pd, il provvedimento "serve esclusivamente ad accontentare le smanie vendicative del presidente del Consiglio nei confronti della magistratura e a perseguire una strisciante impunità".

Luigi de Magistris, eurodeputato Idv e responsabile giustizia del partito: "Si stringe il cerchio giudiziario intorno a Berlusconi ed ecco che si riattiva la micidiale pletora dei suoi avvocati personali, quelli che siedono in Parlamento e che hanno il compito di garantirgli l'impunità per mezzo dell'abuso di legge. Il processo breve, che il Pdl vorrebbe riesumare in Commissione Giustizia della Camera, è un ddl inaccettabile". Sul piede di guerra anche i finiani. "Contro la proposta di processo breve, devastante per il sistema giudiziario italiano, faremo una battaglia parlamentare durissima con ogni mezzo previsto dai regolamenti", anticipa Fabio Granata, vicepresidente Fli della commisione Antimafia. "Siamo pronti alla mobilitazione in Parlamento e nelle piazze".

Anm: "Effetti devastanti".
"Credevamo che questi fossero progetti di legge ormai accantonati, ma se necessario ribadiamo il nostro giudizio negativo sugli effetti devastanti che queste riforme possono avere sulla giustizia". Così commenta il presidente dell'Anm, Luca Palamara, l'accelerazione del Pdl sul tema. "Sono provvedimenti - ha aggiunto Palamara - che vanno nel senso contrario a quello di cui la giustizia ha bisogno, cioè di un processo che funzioni nell'interesse di tutti. Abbiamo necessità di riforme strutturali e non di provvedimenti contingenti e dettati da situazioni episodiche".

(07 febbraio 2011)

da: www.agenziami.it

I processi cancellati: terremoto a l'Aquila. Rogo Thyssenkrupp. Crac Parmalat. Disastro Viareggio.

Il Pdl chiede alla Commissione Giustizia della Camera di mettere in agenda la discussione sul processo breve. Norma salva Premier accusa l'opposizone.

Quello che comunemente viene chiamato processo breve, si potrebbe più correttamente definire prescrizione mascherata. È un disegno di legge a firma di Maurizio Gasparri denominato ufficialmente: "Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi". Ecco ad esempio alcuni dei processi che saranno cancellati, senza innocenti o colpevoli: il processo per il crollo della Casa dello Studente a l'Aquila in seguito al terremoto del 2009, il processo alla Thyssenkrupp per il rogo di Terni, il processo per il crac Parmalat, il processo per la scalata alla banca Antonveneta e il processo per il disastro ferroviario di Viareggio del giugno 2009.

L'annuncio di Gasparri del 2010

Il procedimento che il Governo vorrebbe far approvare con sempre maggiore insistenza, avrebbe come immediata e diretta conseguenza l'applicazione retroattiva nei processi che hanno preso avvio quando il Governo Prodi approvò l'indulto. Lo ammise nel 2010 Gasparri stesso ad Annozero: «Siccome nel 2006 il centrosinistra ha fatto l'indulto, i processi per reati commessi fino al 2006 sono inutili e quindi tanto vale non celebrarli più. Per questo abbiamo reso retroattivo il processo breve».


L'esame del ddl
Torniamo al presente. Proprio ieri il capo gruppo del Pdl in Commissione Giustizia della Camera Enrico Costa, ha chiesto con una lettera in Commissione di rimettere all'ordine del giorno dei lavori di questa settimana l'esame del ddl sul processo breve. Il provvedimento è all'esame della Commissione presieduta da Giulia Bongiorno (Fli) già dal gennaio scorso. Ma, dopo numerose audizioni, di questo provvedimento non si è più parlato.


Cosa accadrebbe a B. dopo l'approvazione
Le nuove disposizioni sul processo breve entrerebbero in vigore il giorno immediatamente successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Ne conseguirebbe l'estinzione dei due processi a carico di Berlusconi per i diritti TV Mediaset, e quello per corruzione nei confronti di David Mills. Il Consiglio Superiore della Magistratura, molto critico nei confronti del provvedimento, ha stimato che fra il 10 e il 40% dei dibattimenti in corso sarebbero estinti, mentre per il Guardasigilli Angelino Alfano ha parlato del solo 1%.


Giustizia privata
Ed ecco che ritorna in auge il processo breve, fermo in commissione dall'8 settembre, dopo che in primavera fu uno dei temi di rottura con Fli e le opposizioni. Le quali hanno tutte ribadito la propria contrarietà alla stessa calendarizzazione. «Sono senza pudore», ha detto Dario Franceschini, capogruppo Pd alla Camera; e la sua collega del Senato Anna Finocchiaro ha chiosato: «il lupo perde il pelo ma non il vizio». Netta oppositrice anche l'Idv che con Felice Belisario e Silvana Mura, stigmatizza «una legge ad personam» che, dice Luigi De Magistris, deve «garantirgli l'impunità».

(vv)

2011-02-08 09:35:20

Fonte foto: (ami)

venerdì 4 febbraio 2011

La Repubblica, 04.02.2011


Lo scoppio nella fabbrica di Paderno Dugnano

Morto il quarto operaio, aveva 38 anni

Si tratta di Leonard Shepu, di nazionalità albanese: tre mesi fa anche lui era stato avvolto dalle fiamme
all'interno dell'Eureco. Prima di lui erano deceduti Salvatore Catalano, Sergio Scapolan e Harun Zeqiri

di GABRIELE CEREDA


È morto anche Leonard Shepu. È la quarta vittima in dello scoppio del 4 novembre scorso all'Eureco di Paderno Dugnano. L'operaio albanese, che aveva compiuto 38 anni durante il ricovero all'ospedale milanese Niguarda, segue a distanza di alcune settimane gli altri tre colleghi avvolti dalle fiamme nell'incidente dietro ai cancelli di via Mazzini 101, dove si stoccavano rifiuti pericolosi. Il 18 gennaio era stata la volta di Salvatore Catalano, il custode 55enne dell'azienda. Prima di lui, a metà novembre, erano deceduti Sergio Scapolan, 63 anni, ricoverato a Genova, e Harun Zeqiri, 44 anni, trasferito nelle ore successive al rogo al Cto di Torino. Per tutti, fatali sono state le ustioni riportate su gran parte del corpo.

Prosegue intanto l'inchiesta. Il sostituto procuratore monzese Manuela Massenz, che coordina le indagini, sta studiando la perizia definitiva sull'incidente presentata da Massimo Bardazza, l'ingegnere chiamato dalla magistratura brianzola a fare luce sul caso (uno dei massimi esperti del settore, che in passato si è occupato della strage di Linate e del disastro ferroviario di Viareggio). Al momento rimangono due gli iscritti nel registro degli indagati con l'accusa di omicidio colposo plurimo: Adrian Zeqiri, zio di uno degli operai morti, e Giovanni Merlino, proprietario dell'impianto di smaltimento rifiuti.

Ancora resta da capire cosa abbia dato l'innesco alla violenta deflagrazione. Dagli ultimi rilievi sembra che il gruppo di operai stesse lavorando attorno a recipienti di solventi e idrocarburi. Un movimento brusco, forse la scintilla di una fiamma ossidrica usata per aprire una batteria d'auto. Di certo c'è che non si trovano le autorizzazioni a lavorare con le bombole di acetilene, uno degli elementi finiti nella violenta reazione a catena, che ha coinvolto anche una bombola di gpl e dieci bidoni di vernice scatenando l' inferno.