martedì 19 aprile 2011

19.04.2011 Comunicato stampa operai e familiari ThyssenKrupp Torino in merito alle dichiarazioni a proposito della sentenza


Il lupo perde il pelo ma non il vizio: la ThyssenKrupp persiste nel suo comportamento arrogante e ricattatorio.

Anziché fare un passo indietro e ammettere le proprie responsabilità, ormai chiarissime, le scarica sulla sentenza (assolutamente commisurata alla gravità dei fatti e dei reati contestati) emessa dalla Corte d'Assise, ritenuta "troppo dura", e sui lavoratori ternani, definendo le pene accessorie eccessivamente "punitive" e dalle conseguenze "preoccupanti" per la ricaduta occupazionale, ora messa in discussione.

 

Non accettiamo la logica della "guerra fra poveri" fra lavoratori: esprimiamo quindi la massima solidarietà ai lavoratori di Terni (ma non al sindacato ternano…che ancora non si è accorto della strage del 2007 a Torino?!) come già avvenuto durante la dura vertenza del magnetico nel 2005 affrontata dai lavoratori ternani per cui facemmo all'ora diversi scioperi, mentre a Terni le Rsu e le OO.SS. Fim-Fiom-Uilm, non ne proclamarono nemmeno uno per la nostra vertenza nella primavera del 2007, che pur decretò la chiusura dello stabilimento di Torino.

Così come non accettiamo il coro di voci, giunto da più parti, che minimizza le responsabilità dell'Azienda e la condotta degli imputati "prima e durante" il processo.

In questo senso sono sconcertanti le dichiarazioni e le finalità strumentali a cui si vuole sottointendere (facendo sponda all'Azienda rispetto all'eventualità di un disimpegno in Italia da parte di TK, assolutamente fantasiose e pretestuose!) rilasciate dal Sindaco di Terni e dal Presidente della Provincia di Terni, che respingiamo su tutta la linea e piuttosto invitiamo ad occuparsi del rappresentare al meglio gli interessi dei Cittadini da loro amministrati e non aspettarsi pacche sulla spalla dal management TK o chissà altro….diversamente dovremmo pensare, rispetto alle Istituzioni ternane, a quanti cittadini/lavoratori della territorio sarebbero disposti a "sacrificare ed immolare" dentro lo stabilimento di Terni di TK !!!

Ricordiamo per chi se ne fosse dimenticato inoltre, che TK Italia deve risarcire lo Stato Italiano di circa 50 milioni di euro per infrazioni delle regole comunitarie, dal 2007 sanzionata per cui, nell' interesse dei cittadini di Terni, sarebbe auspicabile oltreché doveroso che gli Enti locali ternani si attivino verso il Governo per applicare l'esazione di tale sanzione per investirla sul proprio territorio.

 

 Se vi è stata una particolare attenzione da parte dei media sulla vicenda ThyssenKrupp, fino a farla diventare una questione politica,  non vanno dimenticati il costante impegno e la mobilitazione dei familiari delle vittime, degli operai torinesi, dell'opinione pubblica e della società civile, che mai hanno fatto calare l'attenzione su una vicenda così drammatica e dolorosa non solo per Torino ma per tutto il Paese.  Neppure si possono tralasciare e ignorare: le gravissime carenze della sicurezza all'interno dello stabilimento, che hanno poi portato alla morte atroce dei nostri 7 compagni di lavoro (ed esponendo altri al rischio di fare la stessa terribile fine) che gli imputati hanno da subito cercato di occultare ricorrendo alle false testimonianze di una decina di ex lavoratori, assortiti tra Quadri/Impiegati ed Operai ( per i quali verrà istruito un nuovo processo); il nuovo filone d'inchiesta per 4 ispettori Asl, che avvertivano preventivamente l'Azienda dei controlli; il rinvio a giudizio di 4 testimoni della difesa per i reati di falsa testimonianza e omicidio colposo; il vergognoso ricatto perpetrato a danno dei lavoratori, ricollocati solo a patto di accettare "volontariamente" la rinuncia dalla costituzione di Parte Civile nel procedimento (80 operai così esclusi dalla costituzione di Parte Civile); la discriminazione adottata nei confronti degli ultimi 13 lavoratori ancora in cassa integrazione (quasi tutti costituiti Parte Civile nel processo), mai ricollocati dall'Azienda e dagli Enti locali come invece avvenuto per altri operai, nessuno dei quali costituito nel processo.

 

Nonostante le gravissime colpe accertate prima e durante il processo gli imputati sono ancora a piede libero, come se nulla fosse. Useranno ancora questo lasso di tempo prima del processo di Appello per cercare di inquinare ulteriormente le prove?

 

Un imprenditore e/o un'azienda che si definiscono perbene non hanno nulla da temere da questa sentenza: semmai è una esortazione a fare ancora di più per quanto riguarda la sicurezza sul lavoro, visto il numero inquietante di morti, infortuni, invalidi da lavoro e colpiti da malattie professionali nel nostro Paese, che ci relega agli ultimi posti in Europa in fatto di sicurezza e tutela della salute nei luoghi di lavoro. Chi interpreta questa sentenza, che dovrebbe ridare speranza ai lavoratori e far riflettere gli imprenditori, in maniera negativa, è in malafede, così come il tentativo di delegittimarla, disonorando la memoria delle vittime e la terribile sofferenza patita dai familiari.

 

Anche gli operai, mandati in guerra senza che venisse detto loro, pretendono giustizia: che i risarcimenti ottenuti dagli Enti locali costituiti come Parti Civili nel processo vengano utilizzati per creare nuovi posti di lavoro per tutti quelli che, come noi, hanno dovuto subire simili ingiustizie.

 

 

 

Torino, 19 aprile 2011                                                                                           Associazione Legami d'Acciaio Onlus

                                                                                                                          (Operai e Famigliari vittime ThyssenKrupp)


La Stampa 17/04/2011 - DOPO LA SENTENZA

L'appello degli ex operai Thyssen:
"Con i risarcimenti posti di lavoro"


La lettera aperta dei dipendentisenza lavoro: gli enti locali usinoi soldi per favorire l'occupazione


TORINO
«Regione, Provincia e Comune hanno ottenuto quasi due milioni e mezzo di risarcimento al processo Thyssenkrupp: adesso ci aiutino a trovare lavoro». La richiesta arriva dagli ultimi dodici ex operai dell'acciaieria che, a tre anni e mezzo dalla tragedia costata la vita a sette colleghi, non sono ancora stati ricollocati. 

«È una questione ancora aperta - dicono gli ex operai - ma non certo per colpa nostra. Tra i lavoratori che si sono costituiti parte civile nel processo, dodici sono ancora in attesa di un lavoro sicuro e dignitoso, così come stabilito da un accordo siglato dopo la chiusura dello stabilimento da azienda ed enti locali (tutti costituiti nel processo al fianco degli operai)». Per questo gli operai chiedono che «tutti i risarcimenti ottenuti dagli enti locali vengano destinati all'applicazione di misure concrete d'urgenza per la ricollocazione e la creazione di nuovi posti di lavoro per tutti i lavoratori che - affermano - come noi, hanno subito ingiustizie e licenziamenti, e a cui hanno calpestato un diritto fondamentale: quello di avere un lavoro dignitoso e in sicurezza».

Più di uno afferma di sentirsi vittima di una discriminazione e di pagare la colpa di essersi costituito parte civile. Al 27 dicembre 2010 (data dell'ultima partita sindacale) di lavoratori ex Thyssenkrupp ne erano stati ricollocati 368. «Il 30 giugno - dice Mirko Pusceddu, 37 anni, uno dei dodici in attesa di lavoro - scade la seconda proroga della cassa integrazione. Gli enti locali hanno i mezzi e le risorse necessarie. E a questo punto è solo una questione di volontà politica. Non ci devono abbandonare». Al processo, Pusceddu era tra le parti civili (insieme a un'altra quarantina di ex colleghi) e ha ottenuto, con sentenza immediatamente esecutiva, 50 mila euro per «danno non patrimoniale». Oggi può dire di essere scampato alla morte per poche ore. Lui lavorò alla linea 5, quella andata a fuoco, fino alle 22 del 5 dicembre 2007, quando Giuseppe De Masi arrivò a dagli il cambio. Fece la doccia e se ne andò, mentre due dei colleghi che erano stati al suo fianco, Antonio Schiavone e Antonio Boccuzzi, si fermarono in straordinario perchè lo stabilimento era in via di chiusura e il personale, ormai, era ridotto all'osso.

L'incendio si scatenò nella notte del 6 dicembre: De Masi e Schiavone persero la vita, Boccuzzi se la cavò. «Quello - racconta Pusceddu - fu il mio ultimo giorno di lavoro. Ho mandato curriculum a destra e sinistra, ho fatto un colloquio che si è rivelato improduttivo: mi è stato spiegato che non erano interessati alla mia figura professionale. È il paradosso della nostra figura di siderurgici altamente specializzati: non siamo molto spendibili in altri contesti. Anche per questo ci devono aiutare». Regione e Comune, nel corso degli anni, hanno sempre negato favoritismi e discriminazioni, ma tra i dodici, che oggi hanno lanciato l'ennesimo appello, il sospetto serpeggia ancora. Più di uno fa notare che gli operai assenti dal processo hanno trovato posto altrove; all'Alenia, per esempio, ma anche in due aziende municipalizzate, la Smat e l'Amiat. «Nel primo caso - dicono - si tratta di rapporti fra due industrie private. Ma il discorso cambia se c'è una partecipazione pubblica. E allora diventa solo una questione di volontà politica».

E mentre si continua a discutere sulla portata di una sentenza da molti definita «storica» perché capace di ridisegnare l'intera giurisprudenza sugli incidenti sul lavoro equiparando per la prima volta la morte sul lavoro di sette operai (uccisi dal rogo del 6 dicembre 2007) a un omicidio volontario, crescono anche i timori sull'impegno della Thyssen in Italia. Da Terni arriva l'allarme per posti di lavoro a rischio con il sindaco e il presidente della Provincia che parlano di pene eccessive. Preoccupazioni confermate anche dalla stessa azienda. «Il problema è sapere quale sarà la giurisprudenza in tema di sicurezza sul lavoro. Noi restiamo in Italia ma dopo la situazione che si è venuta a creare con il verdetto di Torino sarà difficilissimo lavorare da voi», ha affermato il presidente della Thyssen in Italia, Klaus Schmitz, in una testimonianza raccolta dal Corriere della Sera. «Ci aspettiamo una riflessione su queste condanne - aggiunge - ma per ora non vogliamo rimanere coinvolti nel dibattito». «Siamo regolarmente associati a Confindustria - afferma ancora il dirigente tedesco - e abbiamo bisogno di avere garanzie per il nostro futuro. Confindustria ci deve rappresentare, deve reagire a questa sentenza. Dall'associazione degli industriali italiani ci aspettiamo tutela e passi ufficiali». «Se la situazione generale continuerà a essere segnata dalla forte emotività che ha caratterizzato il processo di Torino - spiega inoltre Schmitz -, è chiaro che il problema rimane e ci obbliga a interrogarci sul nostro futuro».

mercoledì 13 aprile 2011

Torino 2011/ Musy: incontrerò operai Thyssen il prima possibile

Torino, 13 apr. (TMNews) - "Garantisco agli operai della Thyssen che l'occupazione e la sicurezza sul posto di lavoro sono le priorita' del mio programma elettorale". E' quanto ha promesso Alberto Musy, candidato sindaco per il Nuovo Polo, rispondendo alla lettera che gli operai torinesi della ThyssenKrupp hanno rivolto oggi agli aspiranti sindaci del capoluogo piemontese, invitandoli a un confronto sui temi del lavoro e della sicurezza.

"Saro' lieto di incontrarli il prima possibile per ascoltare le loro rimostranze" ha concluso Musy.

martedì 12 aprile 2011

www.rassegna.it


Si avvicina la conclusione del primo grado di giudizio per il processo che vede imputati i vertici della multinazionale tedesca in seguito al rogo che nel 2007 causò la morte di 7 operai. Mancano due udienze. Poi, forse già il 15 aprile, il verdetto

thyssen (immagini di flickr - foto di Verleihnix)

Si è svolta oggi, venerdì 8 aprile a Torino, nella maxi-aula 1 del Palagiustizia, la 92esima udienza del processo penale ThyssenKrupp, dedicata alle repliche dei PM e degli avvocati dell'accusa, in rappresentanza di lavoratori dell'acciaieria, prossimi congiunti delle vittime, sindacati, Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comune di Torino e altri enti che si sono costituiti parte civile. Lo riferisce un comunicato stampa di Sicurezza e Lavoro, periodico di informazione per la promozione della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

L'udienza è iniziata con le repliche dei PM Laura Longo e Francesca Traverso, che hanno criticato la tesi della Difesa (che ha chiesto l'assoluzione per tutti gli imputati, ndr) secondo cui non ci sarebbe alcun responsabile per l'incidente che ha causato la morte dei 7 operai nel rogo del 6 dicembre 2007 avvenuto nell'acciaieria di corso Regina Margherita 400.

"L'unico che la difesa è pronto a sacrificare – ha dichiarato il Pm – è il direttore dello stabilimento di Torino, Raffaele Salerno. Viene sacrificato per lavare le colpe di tutti, come Benjamin Malaussène, il personaggio inventato dallo scrittore francese Daniel Pennac, che di professione fa il capro espiatorio. Ha delle colpe – ha aggiunto il Pm – ma non è tutta colpa sua: aveva minore potere rispetto agli imputati ternani e all'amministratore delegato Harald Espenhahn".

Espenhahn, in particolare – secondo l'accusa – dopo aver deciso di chiudere lo stabilimento torinese, avrebbe scelto coscientemente e volontariamente di non fare più alcun investimento per la prevenzione degli incendi (da qui, l'ipotesi accusatoria di omicidio con dolo eventuale, ndr).

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Per il Pubblico Ministero, l'Ad tedesco avrebbe accettato il rischio dell'evento e avrebbe deciso scientemente di non adottare misure antincendio (in particolare, un sistema automatico di rilevazione e spegnimento incendi), di non modificare il Piano di sicurezza (ad esempio, prevedendo l'evacuazione degli operai in caso di incendio) e di non fermare gli impianti delle linee di produzione torinesi.

Il Pm Raffaele Guariniello ha quindi sottolineato l'importanza di "questo giusto processo, di cui il nostro Paese può avere vanto" e ha ribadito di avere chiesto pene ragionevoli per quello che "non è un caso mediatico, ma un infortunio gravissimo, non solo per le vittime e i loro familiari, ma per il contesto in cui è maturato e per l'atteggiamento del datore di lavoro".

Sono quindi seguite - riferisce ancora Sicurezza e Lavoro - le repliche degli avvocati delle parti civili. Tra i vari interventi, c'è stato quello dell'avvocato Cosimo Maggiore della Regione Piemonte, che ha ripetuto la richiesta di risarcimento di 1 euro per ogni abitante della Regione. "Una richiesta elevata – ha detto l'avvocato Maggiore – perché in quest'aula non ho mai sentito un'ammissione minima di responsabilità. Si è cercato sempre di scaricare le colpe sugli altri: lavoratori, sindacati, enti locali".

L'avvocato Sergio Bonetto (in rappresentanza di ex operai dell'acciaieria) ha espresso stupore per la presunta corresponsabilità degli operai e ha affermato che il rischio non fa parte del normale rapporto di lavoro: "gli operai della ThyssenKrupp non erano soldati volontari in missione in Afghanistan". "Per la ThyssenKrupp la soglia dei diritti alla sicurezza viene decisa solo dall'impresa e non può essere sindacata da nessuno. Avete trasformato i lavoratori in sagome umane per lanciatori di coltelli – ha concluso Bonetto – e adesso non volete neanche pagarli".

Le prossime udienze sono previste per mercoledì 13 aprile e venerdì 15 aprile, con le repliche della Difesa. Già nella mattina del 15 aprile la Corte d'Assise si riunirà in Camera di consiglio per preparare la sentenza, che potrebbe venire emanata già nel tardo pomeriggio o in serata.

Thyssen, una sentenza
che farà scuola

Il verdetto potrebbe segnare la storia del diritto, oltre che di una città. La ferita inferta dalla tragedia della Thyssenkrupp, il 6 dicembre 2007, non ha solamente cambiato la sensibilità nazionale nei confronti delle morti bianche, ma ha permesso alla procura di contestare per la prima volta un'accusa capace di scuotere le coscienze degli imprenditori: l'omicidio volontario con dolo eventuale

di SARAH MARTINENGHI - La Repubblica

Due anni e tre mesi di processo, racchiusi in 87 udienze, per arrivare ad emettere un verdetto che il 15 aprile potrebbe segnare la storia del diritto, oltre che di una città. La ferita inferta dalla tragedia della Thyssenkrupp, il 6 dicembre 2007, non ha solamente cambiato la sensibilità nazionale nei confronti delle morti bianche, ma ha permesso alla procura di contestare per la prima volta un'accusa capace di scuotere le coscienze degli imprenditori: l'omicidio volontario con dolo eventuale.  E' su questo reato (contestato solo all'amministratore delegato Harald Espenhahn ma che ha trascinato anche tutti gli altri imputati davanti a una corte d'assise con tanto di giuria popolare), che si è concentrata l'attenzione maggiore da parte dell'accusa e della difesa fin dall'udienza preliminare.

La decisione.
Solo il verdetto dei giudici stabilirà se gli sforzi della procura hanno avuto la meglio sulla consuetudine del diritto, e se quella della Thyssen diventerà una sentenza pilota che farà scuola. Per i pm sono infatti state raccolte prove certe contro l'ad della Thyssen che portano a ritenere che Espenhahn si sia "rappresentato", e "abbia accettato" il rischio che si potesse verificare un infortunio mortale, ma ciò nonostante abbia preferito una "logica del risparmio economico" rispetto alla tutela della sicurezza in uno stabilimento in fase di dismissione e abbandonato a se stesso. Una fabbrica carente sia in pulizia, che in manutenzione, eppure ancora sottoposta al torchio stressante della produzione, nonostante tutte le figure di riferimento, ovvero gli operai più specializzati, fossero ormai andati via da corso Regina.

Le richieste di condanna. Sedici anni e mezzo per Harald Espenhahn, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale, 3 anni e 6 mesi per i quattro dirigenti Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, e 9 anni per Daniele Moroni, tutti accusati di omicidio colposo e omissione di cautele antinfortunistiche. Sono state queste le richieste dei pm raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso al termine di una lunga requisitoria (durata una decina di udienze) scritta e proiettata in aula con slides. Ma è anche verso l'azienda Thyssen, (intesa come ente giuridico) per la sua responsabilità amministrativa, che l'accusa ha sfoderato l'esemplarità del massimo delle pene: "Un milione e mezzo di euro di sanzione pecuniaria", cui si aggiungono "800 mila euro di confisca" e misure quali "il divieto di pubblicità per un anno" e "l'esclusione da contributi pubblici, agevolazioni e contributi e revoca di quelli già concessi".

Le richieste delle parti civili. Sono state pesanti anche le richieste delle parti civili: il Comune di Torino e la Provincia hanno chiesto un milione e mezzo di euro di risarcimento per i danni d'immagine e all'ambiente, mentre la Regione (anche per danni patrimoniali) ha quantificato sei milioni di euro: simbolicamente un euro e mezzo a testa per ogni piemontese. I sindacati hanno optato per 150 mila euro ciascuno.

La Thyssen aveva già risarcito con 12 milioni di euro (una cifra record) i parenti delle vittime, ma al processo si sono costituiti altri familiari e diversi operai che hanno chiesto danni per centinaia di migliaia di euro. In particolare per un gruppo di soccorritori sono stati chiesti risarcimenti da 260 a 420 mila euro perché la loro vita è rimasta sconvolta da quella notte: choccati come reduci del Vietnam, hanno incubi ricorrenti, attacchi di panico e devono ricorrere a psicofarmaci.

La difesa. Gli avvocati difensori degli imputati (Cesare Zaccone, Ezio Audisio, Maurizio Anglesio, Franco Coppi, Andrea e Nicoletta Garaventa, Paolo Sommella) si sono divisi per temi l'arringa. Quello della Thyssen è stato per la difesa "un processo politico" in cui la morte dei sette operai è stata "strumentalizzata", e la procura e i media si sono lanciati in una guerra "al capitalismo". Solo perché è stata processata "un'azienda straniera", una multinazionale che ha rilevato una fabbrica italiana, che stava "pure chiudendo, seppur con tutte le garanzie per i lavoratori". L'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale è "agghiacciante", "frutto solo di una suggestione della procura". Audisio, con un'arringa elegante e sabauda, ha poi cercato di convincere i giudici dell'innocenza di Espenhahn senza accusare direttamente, ma implicitamente e per deduzione. "Non diamo la colpa agli operai", ha ad esempio ribadito più volte facendo tuttavia intuire che il rogo sarebbe scaturito per alcuni errori umani.

Gli operai. "Gli operai non hanno sbagliato - ha detto - ma sono stati indotti in errore da alcune circostanze sfavorevoli e da un imperfetto passaggio di consegne da parte di chi li precedeva". Per la difesa passarono ben undici minuti prima che gli operai si accorgessero dell'incendio: "Tutti e otto si precipitarono con gli estintori, mentre il capoturno Rocco Marzo avrebbe dovuto chiamare il responsabile dell'emergenza: non lo fece, e non sapremo mai perché". Tra gli altri "sbagli" il non aver fermato la linea premendo il pulsante di emergenza o tolto l'energia elettrica alla linea.

Riguardo Espenhahn "non ebbe colpe", non solo perché non poteva rappresentarsi la morte degli operai, ma "si è solo battuto per salvare un'azienda italiana, scegliendo di difendere gli investimenti. Doveva per forza trasferire la produzione a Terni"

La velocità e le tappe. Fin da subito l'inchiesta sulla Thyssen è stata caratterizzata dalla rapidità delle indagini. Guariniello del resto aveva sempre dichiarato l'intenzione di arrivare velocemente a ottenere una pronta risposta della giustizia per un fatto tanto grave: in meno di sei mesi i pm avevano concluso le indagini, il 9 maggio 2008 c'erano già le richieste di rinvio a giudizio. Il 17 novembre dello stesso anno, a meno di un anno dalla tragedia, il gup Francesco Gianfrotta concludeva l'udienza preliminare: l'accusa di omicidio volontario aveva retto al primo vaglio di un giudice. Il processo era cominciato il 15 gennaio 2009: la corte aveva tenuto il ritmo e il calendario, spesso celebrando anche due udienze a settimana.

Segno di un'accelerata è stato il fatto che, terminato il dibattimento, i giudici abbiano scelto di bloccare le udienze, di valutare ogni elemento raccolto anticipando la camera di consiglio. Per arrivare a una decisione così importante la giuria popolare, presieduta dal giudice Maria Iannibelli e, a latere Paola Dezani, ha quindi già fatto più di un mese di pre-camera. Il verdetto finale è atteso il giorno dell'ultima udienza, il 15 aprile, già in serata.

I colpi di scena e di teatro. Il processo è stato caratterizzato da una serie di colpi di scena, più da parte dell'accusa che della difesa, anche perché il pm Raffaele Guariniello e le due sostitute Laura Longo e Francesca Traverso non hanno mai smesso di indagare sulla Thyssen nemmeno a processo iniziato. Si è appreso in aula del filone d'inchiesta che era stato aperto nei confronti di chi doveva controllare lo stabilimento: 5 ispettori dell'Asl avrebbero aiutato la Thyssen preannunciando i controlli e con prescrizioni non tempestive. Ma il pm Guariniello nell'udienza del 18 novembre 2009 ha lasciato tutti di stucco quando, nell'interrogare un ex operaio della Thyssenkrupp gli ha chiesto se avesse mai parlato con qualcuno del processo. I pm avevano infatti scoperto che due dirigenti dell'acciaieria avevano avvicinato alcuni testimoni per "pilotare" le loro deposizioni. Era nata così una nuova indagine per falsa testimonianza con tanto di intercettazioni e pedinamenti: otto persone sono quindi state indagate, e quattro ex dipendenti "scoperti" hanno poi scelto di tornare in aula per ritrattare le loro deposizioni.

Tra i colpi di teatro dell'accusa merita un cenno quello sulla conoscenza dell'italiano di Espenhahn: proprio durante le prime udienze la difesa aveva cercato di far saltare il processo sostenendo che parte degli atti non era stato tradotto in tedesco, e che l'ad non parlasse italiano, pur conoscendo alcune parole, bensì solo in inglese. Armata di proiettore e maxi schermo, in aula la procura replicò mandando in onda una vecchia intervista rilasciata a un tg italiano in cui l'amministratore delegato con un forte accento tedesco ma in perfetto e fluente italiano magnificava la sua azienda.

La dinamica dell'incendio. Per essere più efficace la procura aveva poi scelto di riprodurre in aula tutta la dinamica dell'incendio utilizzando un'animazione grafica al computer: come in una sorta di videogame è stato ricostruito l'incendio sulla linea 5, gli operai che tentano di spegnerlo con manichette ed estintori vuoti, e il "flash fire", ovvero l'esplosione di una nuvola di fuoco e olio incandescente che avvolge i sette operai, mentre Antonio Boccuzzi riesce a salvarsi solo perché riparato dietro un muletto. La sua testimonianza insieme a quella dei soccorritori restano invece il momento più drammatico di tutto il processo: le urla delle vittime, "aiuto, non voglio morire!", l'odore, le facce e i corpi dilanianti dal fuoco dei sette operai riecheggiano in aula tramite i racconti di chi la notte del sei dicembre 2007 l'ha vissuta davvero.

Fuori e dentro l'aula, lacrime e dolore.Hanno presenziato ad ogni udienza, con le loro magliette nere e le foto di figli o mariti morti nel fuoco, avvolti in un dolore incontenibile: hanno voluto assistere p. La pazienza della presidente della Corte è stata spesso messa a dura prova di fronte alle loro esternazioni in aula: più volte si sono lasciati andare a commenti sgradevoli riferiti agli imputati e ai loro avvocati, rischiando di essere portati fuori dall'aula. Ingiurie e anatemi che sono stati ricordati dai difensori degli imputati anche nella loro arringa. "Assassini", "brucerete all'inferno", "dovete dargli l'ergastolo" sono state alcune delle espressioni più frequenti. Fuori dai cancelli hanno sempre appeso striscioni con le foto delle vittime, accanto a quelli dei sindacati e del collettivo comunista che ha spesso distribuito volantini "contro i padroni stragisti".

lunedì 11 aprile 2011

TK. La replica dei Pm, a giorni la sentenza. «Mai come in questo caso la volontà forte di accettare il rischio»


Alessandra Valentini   
Sabato 09 Aprile 2011 05:41

Ieri si è svolta la 92esima udienza del processo ThyssenKrupp. «Se il dolo eventuale non c'è in questo caso, allora non esiste, perchè mai come in questo caso c'è stata la volontà forte di accettare il rischio», così i pm Laura Longo e Francesca Traverso, durante le repliche dell'accusa, riferendosi al capo di imputazione di Harald Espenhahn, amministratore delegato della ThyssenKrupp. È stato rispedito al mittente il tentativo della difesa di sminuire l'accaduto, rispetto a quella che è una tra le più grandi tragedie sul lavoro negli ultimi anni. «Espenhahn - hanno continuato i pm guidati da Guariniello - ha deciso di eliminare qualsiasi investimento sullo stabilimento di Torino pur essendo a conoscenza del rischio. Quando è venuto a conoscenza dei successivi e ulteriori elementi di pericolo non ha cambiato nulla, non ha revocato né modificato tale decisione, non ha adottato misure antincendio di alcun tipo, neanche tampone, né ha modificato il piano di emergenza prevedendo l'evacuazione immediata dello stabilimento e non ha deciso di fermare gli impianti prima del termine previsto per la loro chiusura. Questi elementi aggravano il dolo. Se gli impianti di rilevazione degli incendi fossero stati installati sulla linea 5 avrebbero certamente evitato la morte dei sette lavoratori». I pm, infine, hanno risposto alla tesi difensiva per cui Raffaele Salerno, responsabile dello stabilimento e anch'egli tra gli imputati (per lui la richiesta è stata di tredici anni e mezzo di reclusione per omicidio colposo con colpa cosciente, come per altri quattro imputati), sarebbe il principale responsabile della tragedia, definendolo «un capro espiatorio come Malaussene. Certamente ha delle responsabilità, ma non tutte quelle che vuole attribuirgli la difesa».
Mercoledì prossimo ci saranno le controrepliche della difesa e venerdì la corte si riunirà in camera di consiglio ed emetterà poi la sentenza. Ieri il Pm Raffaele Guariniello ha voluto sottolineare l'importanza di «questo giusto processo, di cui il nostro Paese può avere vanto» e ha ribadito di avere chiesto pene ragionevoli per quello che «non è un caso mediatico, ma un infortunio gravissimo, non solo per le vittime e i loro familiari, ma per il contesto in cui è maturato e per l'atteggiamento del datore di lavoro».

 

venerdì 8 aprile 2011

La Repubblica

"Alla Thyssen la più grande
tragedia sul lavoro in Italia"

Le repliche dei pm al processo per la strage dell'acciaieria: "L'ad Espenhahn sapeva cosa fare per scongiurare quelle sette morti, ma non lo fece: questo è il dolo eventuale". Guariniello deposita una memoria di 223 pagine

"Alla Thyssen la più grande tragedia sul lavoro in Italia" Il pm Raffaele Guariniello

"La difesa sminuisce questo evento, ma ci troviamo di fronte alla più grande tragedia sul lavoro che si sia mai verificata in Italia in periodo recente. Per trovarne una più grave dobbiamo andare indietro fino al 1987, con la morte dei 13 lavoratori della Mecnavi sulla nave Montanari nel porto di Ravenna". Lo hanno detto nella loro replica, nell'aula della Corte d'Assise, i pubblici ministeri Laura Longo e Francesca Traverso alla ripresa del processo sull'incendio della Thyssenkrupp in cui sette operai persero la vita il 6 dicembre 2007.
"Si è trattato - hanno continuato i pm - di un infortunio gravissimo per il contesto in cui è maturato. Sono state morti annunciate: in quello stabilimento rischiavano la vita ogni giorno e ogni notte. E se non fosse capitato a loro sarebbe capitato ad altri. Se gli impianti di rilevazione e spegnimento fossero stati installati sulla linea 5 - ha aggiunto l'accusa - avrebbero sicuramente evitato la morte dei sette operai". E, sull'amministratore delegato Harald Espenhahn, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale, i pm hanno sottolineato che "conosceva bene le norme tecniche e sapeva cosa bisognava fare sulla linea, tuttavia non ha fatto nulla e ha continuato a non fare nulla. Questo è il dolo".
Dopo di loro ha preso la parola il procuratore Raffaele Guariniello che, per evitare una lunga disquisizione orale, ha depositato una memoria scritta di 223 pagine e ha poi affrontato i dieci punti più rilevanti del processo. "Qualcuno - ha detto, ricordando le richieste di condanna (16 anni e mezzo per Espenhahn, da 9 a 13 anni e mezzo per gli altri cinque imputati) - ha parlato di richieste di pena troppo alte o troppo basse. Ma in realtà ci siamo fatti guidare esclusivamente da scienza e coscienza. Le nostre richieste non sono ispirate da spirito di vendetta, come hanno detto alcuni legali, ma sono proporzionate ai reati. Per esempio, per la tragedia del Mulino Cordero di Fossano il titolare fu condannato a otto anni con giudizio abbreviato, il che significa che con rito ordinario la condanna sarebbe stata a 12 anni. E in quel caso furono contestati solo l'omicidio colposo e l'omissione di cautele antinfortunistiche".
Riguardo ai profili di colpa ipotizzati dalla difesa a carico dei lavoratori, ha aggiunto: "Quasi non c'è processo per infortuni in cui il datore di lavoro non abbia tentato di addossare la colpa ai lavoratori. Credo che sia successo anche qui". Circa l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale mossa nei confronti dell'amministratore delegato, il pm ha infine richiamato le 43 sentenze di Cassazione "che fondano la responsabilità di Espenhahn".

(ANSA) - TORINO, 08 APR - ''Le difese hanno cercato di sminuire l'evento, ma ci troviamo di fronte alla piu' grave tragedia sul lavoro che si sia verificata in Italia in epoca recente. Per trovarne una piu' grave dobbiamo andare indietro fino al 1987, con la morte dei 13 lavoratori della Mecnavi sulla nave Montanari nel porto di Ravenna''. Lo hanno detto i pm Laura Longo e Francesca Traverso durante l'udienza del processo per il rogo avvenuto nell'accaieria ThyssenKrupp di Torino il 6 dicembre 2007, in cui persero la vita sette operai.

Videopiemonte Torino, 8 aprile 2011

Si è svolta oggi a Torino, nella maxi-aula 1 del Palagiustizia, la 92esima udienza del processo penale ThyssenKrupp, dedicata alle repliche dei PM e degli avvocati dell'accusa, in rappresentanza di lavoratori dell'acciaieria, familiari delle vittime, sindacati, Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comune di Torino e altri enti che si sono costituiti parte civile.
L'udienza è iniziata con le repliche dei PM Laura Longo e Francesca Traverso, che hanno criticato la tesi della Difesa (che ha chiesto l'assoluzione per tutti gli imputati) secondo cui non ci sarebbe alcun responsabile per l'incidente che ha causato la morte dei 7 operai nel rogo del 6 dicembre 2007.
"L'unico che la difesa è pronto a sacrificare - ha dichiarato il PM - è il direttore dello stabilimento di Torino, Raffaele Salerno. Viene sacrificato per lavare le colpe di tutti, come Benjamin Malaussène, il personaggio inventato dallo scrittore francese Daniel Pennac, che di professione fa il capro espiatorio".
"Ha delle colpe - spiega il PM - ma non è tutta colpa sua: aveva minore potere rispetto agli imputati ternani e all'amministratore delegato Harald Espenhahn".
Espenhahn, in particolare - secondo l'accusa - dopo aver deciso di chiudere lo stabilimento torinese, avrebbe scelto coscientemente e volontariamente di non fare più alcun investimento per la prevenzione degli incendi (da qui, l'ipotesi accusatoria di omicidio con dolo eventuale).
Il PM Raffaele Guariniello ha quindi sottolineato l'importanza di "questo giusto processo, di cui il nostro Paese può avere vanto" e ha ribadito di avere chiesto pene ragionevoli per quello che "non è un caso mediatico, ma un infortunio gravissimo, non solo per le vittime e i loro familiari, ma per il contesto in cui è maturato e per l'atteggiamento del datore di lavoro".
Le prossime udienze sono previste per mercoledì 13 aprile e venerdì 15 aprile, con le repliche della Difesa.