martedì 19 aprile 2011


La Stampa 17/04/2011 - DOPO LA SENTENZA

L'appello degli ex operai Thyssen:
"Con i risarcimenti posti di lavoro"


La lettera aperta dei dipendentisenza lavoro: gli enti locali usinoi soldi per favorire l'occupazione


TORINO
«Regione, Provincia e Comune hanno ottenuto quasi due milioni e mezzo di risarcimento al processo Thyssenkrupp: adesso ci aiutino a trovare lavoro». La richiesta arriva dagli ultimi dodici ex operai dell'acciaieria che, a tre anni e mezzo dalla tragedia costata la vita a sette colleghi, non sono ancora stati ricollocati. 

«È una questione ancora aperta - dicono gli ex operai - ma non certo per colpa nostra. Tra i lavoratori che si sono costituiti parte civile nel processo, dodici sono ancora in attesa di un lavoro sicuro e dignitoso, così come stabilito da un accordo siglato dopo la chiusura dello stabilimento da azienda ed enti locali (tutti costituiti nel processo al fianco degli operai)». Per questo gli operai chiedono che «tutti i risarcimenti ottenuti dagli enti locali vengano destinati all'applicazione di misure concrete d'urgenza per la ricollocazione e la creazione di nuovi posti di lavoro per tutti i lavoratori che - affermano - come noi, hanno subito ingiustizie e licenziamenti, e a cui hanno calpestato un diritto fondamentale: quello di avere un lavoro dignitoso e in sicurezza».

Più di uno afferma di sentirsi vittima di una discriminazione e di pagare la colpa di essersi costituito parte civile. Al 27 dicembre 2010 (data dell'ultima partita sindacale) di lavoratori ex Thyssenkrupp ne erano stati ricollocati 368. «Il 30 giugno - dice Mirko Pusceddu, 37 anni, uno dei dodici in attesa di lavoro - scade la seconda proroga della cassa integrazione. Gli enti locali hanno i mezzi e le risorse necessarie. E a questo punto è solo una questione di volontà politica. Non ci devono abbandonare». Al processo, Pusceddu era tra le parti civili (insieme a un'altra quarantina di ex colleghi) e ha ottenuto, con sentenza immediatamente esecutiva, 50 mila euro per «danno non patrimoniale». Oggi può dire di essere scampato alla morte per poche ore. Lui lavorò alla linea 5, quella andata a fuoco, fino alle 22 del 5 dicembre 2007, quando Giuseppe De Masi arrivò a dagli il cambio. Fece la doccia e se ne andò, mentre due dei colleghi che erano stati al suo fianco, Antonio Schiavone e Antonio Boccuzzi, si fermarono in straordinario perchè lo stabilimento era in via di chiusura e il personale, ormai, era ridotto all'osso.

L'incendio si scatenò nella notte del 6 dicembre: De Masi e Schiavone persero la vita, Boccuzzi se la cavò. «Quello - racconta Pusceddu - fu il mio ultimo giorno di lavoro. Ho mandato curriculum a destra e sinistra, ho fatto un colloquio che si è rivelato improduttivo: mi è stato spiegato che non erano interessati alla mia figura professionale. È il paradosso della nostra figura di siderurgici altamente specializzati: non siamo molto spendibili in altri contesti. Anche per questo ci devono aiutare». Regione e Comune, nel corso degli anni, hanno sempre negato favoritismi e discriminazioni, ma tra i dodici, che oggi hanno lanciato l'ennesimo appello, il sospetto serpeggia ancora. Più di uno fa notare che gli operai assenti dal processo hanno trovato posto altrove; all'Alenia, per esempio, ma anche in due aziende municipalizzate, la Smat e l'Amiat. «Nel primo caso - dicono - si tratta di rapporti fra due industrie private. Ma il discorso cambia se c'è una partecipazione pubblica. E allora diventa solo una questione di volontà politica».

E mentre si continua a discutere sulla portata di una sentenza da molti definita «storica» perché capace di ridisegnare l'intera giurisprudenza sugli incidenti sul lavoro equiparando per la prima volta la morte sul lavoro di sette operai (uccisi dal rogo del 6 dicembre 2007) a un omicidio volontario, crescono anche i timori sull'impegno della Thyssen in Italia. Da Terni arriva l'allarme per posti di lavoro a rischio con il sindaco e il presidente della Provincia che parlano di pene eccessive. Preoccupazioni confermate anche dalla stessa azienda. «Il problema è sapere quale sarà la giurisprudenza in tema di sicurezza sul lavoro. Noi restiamo in Italia ma dopo la situazione che si è venuta a creare con il verdetto di Torino sarà difficilissimo lavorare da voi», ha affermato il presidente della Thyssen in Italia, Klaus Schmitz, in una testimonianza raccolta dal Corriere della Sera. «Ci aspettiamo una riflessione su queste condanne - aggiunge - ma per ora non vogliamo rimanere coinvolti nel dibattito». «Siamo regolarmente associati a Confindustria - afferma ancora il dirigente tedesco - e abbiamo bisogno di avere garanzie per il nostro futuro. Confindustria ci deve rappresentare, deve reagire a questa sentenza. Dall'associazione degli industriali italiani ci aspettiamo tutela e passi ufficiali». «Se la situazione generale continuerà a essere segnata dalla forte emotività che ha caratterizzato il processo di Torino - spiega inoltre Schmitz -, è chiaro che il problema rimane e ci obbliga a interrogarci sul nostro futuro».

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