lunedì 9 maggio 2011

 (Fonte: www.blitzquotidiano.it  9 maggio 2011)


Thyssen, operai imbavagliati a convegno su sentenza a Torino

Si sono presentati imbavagliati i lavoratori della ThyssenKrupp di Torino costituiti parte civile al processo ed alcuni familiari delle vittime, oggi pomeriggio a un convegno organizzato dalla Provincia di Torino sulla sentenza. Hanno dato vita così a un flash mob interrompendo l'inizio del Convegno, aprendo uno striscione aziendale listato a lutto. "I lavoratori che si sono costituiti parte civile – hanno scritto su un volantino – vengono discriminati e censurati, di qui la scelta simbolica del bavaglio, dalle istituzioni di questa città, in primis il Comune, nelle figure del sindaco Sergio Chiamparino e del suo vice Tom Dealessandri, costituito al fianco degli operai nel processo insieme agli altri enti locali, che ha ricollocato in aziende ex municipalizzate (Smat e Amiat) alcune decine di ex lavoratori ThyssenKrupp, nessuno dei quali costituito parte civile nel processo".


 

(Fonte: Videopiemonte 5 maggio 2011)


Thyssen, i parenti delle vittime s'imbavagliano

Nel pomeriggio i lavoratori ThyssenKrupp di Torino costituiti Parte Civile nel processo ed alcuni familiari delle vittime hanno dato vita ad un flash mob interrompendo l'inizio del Convegno, tenutosi presso la sede della Provincia, intitolato "ThyssenKrupp, la sentenza": con la bocca imbavagliata hanno aperto lo striscione aziendale listato a lutto e distribuito un volantino in cui spiegano le ragioni del loro gesto.
"Vengono discriminati e censurati (di qui la scelta simbolica del bavaglio) - scrive nel comunicato l'associazione Legami d'Acciaio onlus - dalle Istituzioni di questa Città, in primis il Comune, nelle figure del Sindaco S. Chiamparino e del suo Vice T. Dealessandri, costituito al fianco degli operai nel processo insieme agli altri Enti locali, che ha ricollocato in aziende ex municipalizzate (Smat e Amiat) alcune decine di ex lavoratori ThyssenKrupp, nessuno dei quali costituito Parte Civile nel processo!!
Per queste motivazioni abbiamo chiesto un incontro ed un impegno in questo senso anche ai futuri candidati Sindaco della Città, per chiedere che si vada fino in fondo nel chiarire questa vicenda."
Poi l'appello, già fatto nelle settimane scorse, ai candidati sindaco della città e soprattutto a Coppola e Fassino, perché incontrino i lavoratori.
Nella lettera l'associazione ritorna sulle dichiarazioni fatte dalla Presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, secondo la quale la sentenza di condanna ai dirigenti della Thyssen "allontanerebbe gli investitori stranieri".
"Il Presidente Marcegaglia - scrivono - farebbe bene ad andare oltre le parole di circostanza rivolte ai familiari delle vittime (con la promessa di "garantire sempre più la sicurezza nei luoghi di lavoro da parte delle imprese") e dare seguito, con fatti concreti, a tali dichiarazioni: la sicurezza è preciso dovere delle imprese e non può essere minimamente delegata ai lavoratori. Inaccettabile la linea degli imprenditori emersa a seguito della sentenza ThyssenKrupp: garantire gli investimenti in Italia a patto che non si perseguano diritti e sicurezza dei lavoratori."
L'associazione attacca anche l'attuale governo: "il Ministro Calderoli che condanna la posizione di Confindustria, - si legge nella lettera - dimentica che proprio il Governo Berlusconi non ha perso occasione per indebolire di fatto il D.Lgs. 81/2008 sulla Sicurezza e appoggiare incondizionatamente il piano Marchionne (dove gli investimenti promessi?; per ora, l'unica promessa mantenuta a Mirafiori è la cassa integrazione per migliaia di lavoratori), che fa scempio dei diritti dei lavoratori e della rappresentanza sindacale."


http://www.videopiemonte.it/cronaca/14331_thyssen-i-parenti-delle-vittime-simbavagliano.html

 

Flash mob

(Fonte: Ansa 9 maggio 2011)


Thyssen; Parenti vittime e ex operai s'imbavagliano a Torino

Chiedono la ricollocazione 13 operai tuttora in Cig

Alcuni ex lavoratori e parenti delle vittime del rogo dell'acciaieria ThyssenKrupp si sono alzati in piedi e si sono imbavagliati all'apertura, oggi, a Torino, di un convegno sulla recente sentenza del processo contro i vertici dell'azienda. Hanno inoltre esposto uno striscione 'listato a lutto' per chiedere la ricollocazione degli ultimi 13 operai torinesi dell'azienda ancora in cassa integrazione. E' stato distribuito un volantino che chiede ''lavoro sicuro e dignitoso per gli ultimi operai''.
 

(Fonte: Corriere della Sera 10/05/2011)



CONFINDUSTRIA E L'OVAZIONE ALL'A.D./I familiari delle vittime: «CUORE STRAZIATO»

Applauso a manager Thyssen condannato
L'Anm: brutto segnale dalle imprese

Il segretario del sindacato delle toghe Cascini:
«I toni da stadio restino fuori dalle aule giustizia»



 Il ministro leghista Roberto Calderoli l'aveva definito «fuori luogo». Adesso, arrivano anche dall'Associazione nazionale dei magistrati le critiche all'applauso rivolto dall'assise di Confindustria a Bergamo all'amministratore delegato della Thyssen Krupp, condannato in primo grado, condannato per il rogo che uccise sette operai. «L'applauso non è un bel segnale - ha detto il segretario del sindacato delle toghe Giuseppe Cascini - Si possono discutere tutte le sentenze, ma non facciamo entrare le curve da stadio nelle aule di giustizia».

«L'OVAZIONE CI STRAZIA IL CUORE» - L'applauso, ha aggiunto Cascini nel corso di un dibattito organizzato in occasione della commemorazione della Giornata della Memoria per le vittime del terrorismo, «si inserisce in un linguaggio che non va bene». Il segretario dell'Anm ha quindi paragonato quanto avvenuto a Bergamo alle dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi nei confronti di parte della magistratura e ai manifesti «Via le br dalle procure» a Milano. «È difficile commentare l'applauso di Confindustria a favore di chi è stato condannato per l'omicidio dei nostri cari. È un applauso che strazia il cuore» scrivono in un comunicato i familiari delle vittime e Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto al rogo in cui nella notte del 6 dicembre 2007 persero la vita sette operai che lavoravano sulla linea 5 della Thyssen a Torino.

Redazione online

 

(Fonte: ANSA, 9 MAG 2011)


Thyssen: familiari, applauso Confindustria strazia cuore

Marcegaglia venga a Torino a spiegare


L'applauso della platea di Confindustria ad Harald Espenhahn, ad della ThyssenKrupp condannato a 16 anni e mezzo per omicidio volontario, ''strazia il cuore'': lo scrivono i familiari delle sette vittime del rogo dell'acciaieria torinese e Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto, in un volantino distribuito in serata a un convegno a Torino.

I familiari delle vittime invitano la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia a ''venire a Torino a spiegarci le ragioni di quegli applausi''.

 

(Fonte: La Stampa 10/05/2011)

Thyssen: "Dovrebbero applaudire
i lavoratori morti"


Cota contro Marcegaglia: «Un gesto sbagliato»

di RAPHAËL ZANOTTI

Sentenza sulla Thyssen ancora troppo recente per non incendiare gli animi. Ieri, mentre parole di sconcerto e condanna arrivavano rispetto all'applauso tributato sabato dalla Confindustria riunita a Bergamo in favore di Harald Espenhahn, l'amministratore delegato di Thyssenkrupp Italia condannato a 16 anni e mezzo per omicidio con dolo eventuale per la morte dei sette operai nell'acciaieria di Torino, i familiari delle vittime interrompevano uno degli avvocati della difesa a un incontro pubblico organizzato alla Provincia di Torino.

Ezio Audisio, uno dei difensori di Espenhahn, stava criticando alcuni commenti dei politici a suo dire poco a conoscenza delle carte processuali, quando dalla platea un padre e una madre degli operai arsi vivi nel febbraio 2007, si sono alzati urlandogli contro: «Assassini». Il legale si è rifiutato di andare avanti: «Mi era stato promesso un dibattito di tutt'altro genere» ha detto rivolgendosi a Massimiliano Quirico, direttore del periodico «Sicurezza e Lavoro», organizzatore dell'incontro. Altri familiari hanno cercato di placare i due genitori per permettere al legale di continuare il suo pensiero, ma tutto è stato inutile. «Dovete scusarci - hanno detto al termine dell'incontro - ma quell'applauso a Bergamo ci ha straziato il cuore».

Un gesto che ha senz'altro colpito, tanto da essere stato commentato da più parti. Il ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, ha parlato di «applauso tendenzialmente improprio», mentre il collega Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro, ha tentato di gettare acqua sul fuoco: «Caso chiuso, Cisl e Uil hanno sottolineato quanto Confindustria e le organizzazioni sindacali stiano lavorando insieme per migliorare le condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro». Poco prima erano arrivate le prese di posizione di Luigi Angeletti, segretario generale Uil («caso per nulla gradevole») e di Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl («La tragedia della Thyssen e le sue conseguenze hanno fatto prendere coscienza del problema a imprenditori e sindacati che ora lavorano insieme»). Più dura Susanna Camusso, segretario generale Cgil: «L'applauso è stato una manifestazione eccessiva di fronte a una delle più orrende stragi sul lavoro dell'ultimo periodo».

Toni accesi da parte dei politici locali. Per il governatore leghista Roberto Cota «l'applauso è sbagliatissimo, spero che gli imprenditori chiedano scusa». Per Carlo Chiama, assessore provinciale al Lavoro, «le parole della Marcegaglia sono gravi» mentre l'assessore regionale Claudia Porchietto ha rifiutato il gesto «come imprenditrice prima che assessore». I parlamentari Pd Giorgio Merlo e Stefano Esposito hanno parlato di gesto «semplicemente incommentabile».

Gli imprenditori, tuttavia, anche ieri hanno continuato a contestare la sentenza di Torino. Per Luigi Abete, presidente Assonime, «a Torino si sono applicate norme, quelle sul dolo eventuale, che vanno oltre l'effettiva responsabilità delle persone». Mentre Vincenzo Ilotte, presidente dell'Amma, ha invitato i magistrati «a lavorare insieme per la prevenzione, invece che sulla sanzione: giudicare col senno del poi è facile».

 


Brucia l'operaio Thyssen"
Guariniello chiama Facebook


Il pm vuole sapere chi aveva caricato il crudele gioco sul web

 di Alberto Gaino


La polizia postale torinese ha girato a Facebook Inc, 151 University, Palo Alto, California, il «decreto di acquisizione» di Guariniello «delle informazioni necessarie per identificare chi ha creato il gioco "Sentenza ThyssenKrupp: Brucia e Vinci 1.000.000 di euro"» e quanti lo hanno arricchito di vergognosi commenti, allo scopo di procedere nei loro confronti.


Il magistrato ha aperto un'indagine per diffamazione a mezzo stampa che la giurisprudenza estende alla Rete e a ciò che vi compare. Per procedere c'era bisogno delle querele e i familiari delle sette vittime del rogo della ThyssenKrupp le hanno immediatamente presentate.

Raccontano lo sgomento e lo sdegno di madri, padri, vedove, sorelle e fratelli dei lavoratori divorati dal fuoco mentre si prodigavano per spegnerlo e salvare i costosi macchinari di produzione, pur sapendo che di lì a pochissimo avrebbero perso il posto: la fabbrica chiudeva. Rocco Marzo, il loro capoturno, doveva già trovarsi in pensione, ci sarebbe andato a poche settimane dalla terribile notte del 6 dicembre 2007. Era restato al lavoro per non lasciare soli i più giovani e inesperti che ancora non erano riusciti a trovarne un altro. Giù il cappello.

E invece, in seguito alla sentenza della Corte d'Assise che ha condannato a pene severe il vertice italiano della multinazionale tedesca, c'è stato chi si è distinto inserendo in una pagina web del social network più condiviso nel mondo i volti di quegli operai che spuntano da fiamme virtuali in un macabro «gratta e vinci» che ha attirato i commenti, quasi tutti più che indecenti, di 283 utenti Facebook alla data del 20 aprile. Quando Massimiliano Quirico, giornalista dell'ufficio stampa del Comune di Torino e direttore di www.sicurezzaelavoro.org, l'ha segnalato ad Antonio Boccuzzi, il superstite della strage del lavoro, e allo stesso Guariniello.

Il magistrato: «Si presenta come un gioco un'ignominia che naturalmente non si ha avuto il coraggio di firmare con nomi e cognomi». La pagina, amministrata da tale Giulia Federici (identità di fantasia), è introdotta da questa spaventosa chiave di lettura (si fa per dire) del sacrificio dei lavoratori: «La Corte d'Assise non ha riconosciuto le responsabilità effettive dei 7 operai che, per mancanza di professionalità, inadempienze varie e forse abuso di alcolici e droghe leggere, ignorarono le misure di sicurezza.... Con sorpresa e sgomento si è appreso che i parenti saranno risarciti con un milione di euro. Uno di loro è svenuto dalla gioia....». I giudici non sono comunisti - un refrain già sentito - ma «hanno subito la pressione mediatica della Cgil».

Tanti vi hanno aggiunto del loro. Chi finge di chiedersi se è «meglio morire di freddo in un lager o bruciati vivi, ma con risarcimento». Chi propone di «marchiare a fuoco un numero identificativo sull'avambraccio dei lavoratori per accelerarne l'identificazione. Ai parenti basterà pregare i propri defunti di far uscire quei numeri per diventare ricchi».

Disprezzo e stupidità vergognosi che non si vuole lasciare impuniti. Facebook può fornire i file dilog con cui «identificare il group». Con i codici Ip utilizzati per connettersi si potrà risalire ai provider e da questi a nomi e cognomi veri, e ad indirizzi veri. A giorni la prima risposta.

 

(Fonte: Dirittidistorti Lunedì 09 Maggio 2011 08:43 )


Confindustria. L'applauso della vergogna




Scritto da Alessandra Valentini   

"Ho trovato davvero fuori luogo l'applauso all'ad della Thyssen visto che la sicurezza sul lavoro è un problema vero che interessa tutti i lavoratori e i cittadini. E poi ho trovato una certa arroganza professorale nell'intervento della leader di Confindustria, secondo uno stile, non rimpianto, che fu del suo predecessore Montezemolo, che quello stesso stile adesso vorrebbe portarlo in politica". Così anche il ministro Calderoli commenta l'intervento della Mercegaglia e soprattutto l'applauso vergognoso tributato ieri dalla platea di Confindustria all'a.d. della ThyssenKrupp, condannato a 16 anni e mezzo per l'omicidio di sette operai.
Evidentemente attaccare giudici e sentenze è un vizio di tanta parte della classe dirigente ed imprenditoriale italiana, quegli imprenditori che dovrebbero interessarsi della sicurezza sui luoghi di lavoro e non impegnarsi  a trovare il modo per eludere le leggi e le norme esistenti e cercare di risparmiare sulla pelle dei lavoratori.
Per i familiari dei sette operai morti nel rogo e per gli ex operai della Thyssen, riuniti nell'Associazione Legami d'acciaio, sono "gravissime la posizione e le dichiarazioni di Confindustria ed in particolare del Presidente Marcegaglia rilasciate ieri a difesa dell'applauso reso in solidarietà all'ad della ThyssenKrupp H. Espenhahn, recentemente condannato in primo grado a 16 anni e mezzo per la morte dei 7 lavoratori nel rogo di Torino. Confindustria, anziché prendere le distanze dagli assassini della ThyssenKrupp, che non hanno esitato a lucrare ignobilmente sulla pelle dei lavoratori, esprime loro solidarietà e vicinanza, dimenticando il terribile calvario patito dalle vittime e dai loro familiari e parenti, dimostrando un cinico disprezzo verso la vita dei lavoratori".
L'applauso vergognoso e indegno di un Paese civile a chi a causato la strage di 7 operai, nonostante il tentativo tardivo di scuse della Mercegaglia, conferma l'atteggiamento diffuso tra gli imprenditori, grandi e piccoli, che è meglio avere meno norme e controlli sulla sicurezza, che si va ad investire dove questi non ci sono, e che alla fine chi deve stare attento è il lavoratore e non chi organizza il lavoro e ne detiene i mezzi e decide tempi e condizioni di lavoro, manutenzione di mezzi ed impianti. Siamo con l'Associazione Legami d'acciaio nel ritenere che "la sicurezza nei luoghi di lavoro è un obbligo delle Imprese e delle Istituzioni e non può essere delegata in alcun modo ai lavoratori".

E poi ci chiediamo quando Confindustria tributerà un applauso a Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi, morti da semplici lavoratori a causa dell'incuria altrui e di calcoli fatti a tavolino per produrre e risparmiare.

 
(Fonte: Terni in rete)


I FAMILIARI DELLE VITTIME THYSSEN DI TORINO ATTACCANO MARCEGAGLIA, ESPENHAHN (E ANCHE DI GIROLAMO)

9 Maggio 2011 05.04 - di Roberto Gentili -



 " Confindustria dimostra un cinico disprezzo per la vita dei lavoratori "

Con l'applauso di solidarietà all'ad della ThyssenKrupp , Harald Espenhahn, recentemente condannato in primo grado a 16 anni e mezzo per la morte dei sette lavoratori nel rogo di Torino, la Confindustria dimostra "un cinico disprezzo verso la vita dei lavoratori".

Lo sostiene l'associazione Legami d'Acciaio, che riunisce i familiari delle vittime ed ex operai ThyssenKrupp Torino.

Nel definire "gravissime la posizione e le dichiarazioni di Confindustria, in particolare del Presidente Emma Marcegaglia", l'associazione afferma che "Confindustria, anziché prendere le distanze dagli assassini della ThyssenKrupp, che - a suo parere - non hanno esitato a lucrare ignobilmente sulla pelle dei lavoratori, esprime loro solidarietà e vicinanza, dimenticando il terribile calvario patito dalle vittime e dai loro familiari e parenti, dimostrando un cinico disprezzo verso la vita dei lavoratori".

L'associazione sostiene che i sette operai sono stati "uccisi in nome del profitto" e afferma che "le parole della Marcegaglia lasciano intendere che sarebbe più conveniente investire laddove norme e controlli in fatto di sicurezza sul lavoro siano meno vincolanti per le imprese".

"Queste - scrive l'associazione dei familiari delle vittime di Toirno - le orribili aspettative che i vari Marcegaglia, Espenhahn, Marchionne, Carbonato, Di Girolamo ( il Sindaco dimissionario di Terni n.d.r. ) e Cicchitto vorrebbero veder avverarsi in questo Paese. La scelta sembra essere: impunità o delocalizzare dove si può uccidere senza subire processi?"

"Non possiamo che ritenerci profondamente indignati e offesi da tali dichiarazioni - conclude l'associazione - La sicurezza nei luoghi di lavoro è un obbligo delle imprese e delle istituzioni e non può essere delegata in alcun modo ai lavoratori e chi non rispetta le norme e uccide in nome del profitto deve pagare. Continueremo a portare avanti la lotta per avere non solo giustizia ma un lavoro sicuro e dignitoso per tutti "
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(Fonte: La Repubblica 09/05/2011)


Calderoli contro la Confindustria
"Thyssen, applausi fuori luogo"

Il ministro: "La sicurezza sul lavoro è un problema serio. Dalla Marcegaglia arroganza professorale"

MILANO - "Ho trovato davvero fuori luogo l'applauso all'ad della Thyssen visto che la sicurezza sul lavoro è un problema vero che interessa tutti i lavoratori e i cittadini. E poi ho trovato una certa arroganza professorale nell'intervento della leader di Confindustria, secondo uno stile, non rimpianto, che fu del suo predecessore Montezemolo, che quello stesso stile adesso vorrebbe portarlo in politica". Il ministro per la semplificazione Roberto Calderoli apre la polemica con la Marcegaglia, parlando con un giornalista dell'Ansa commentando le assise della Confindustria di ieri.


http://www.repubblica.it/economia/2011/05/08/news/calderoli_contro_la_confindustria_thyssen_applausi_fuori_luogo-15956469/?ref=HREC1-11

 
(Fonte: La Stampa 09/05/2011)

INSORGE L'ASSOCIAZIONE DELLE VITTIME: «CINICO DISPREZZO VERSO LA VITA».
LA PRESIDENTE: «VICINI AI FAMILIARI, IMPEGNATI PER LA SICUREZZA

"Vicenda Thyssen, applausi fuori luogo"

L'intervento di Emma Marcegaglia alle assise di Confindustria, a Bergamo

Da Calderoli ai sindacati, coro
di condanne alla solidarietà
di Confindustria al manager

LUIGI GRASSIA

L'incontro di Confindustria a Bergamo si lascia dietro uno strascico di polemiche. I familiari delle sette vittime della Thyssen si sdegnano per l'applauso al manager Harald Espenhahn (condannato per omicidio) e la solidarietà degli imprenditori viene condannata da molti osservatori politici e sindacali, da Calderoli alla Fiom.

«Ho trovato davvero fuori luogo l'applauso al dirigente della Thyssen - attacca il ministro leghista - dato che la sicurezza sul lavoro è un problema vero, che interessa tutti i lavoratori e i cittadini». Stessi concetti, con aggettivi più forti, arrivano dai sindacati, che per una volta sono tutti d'accordo. Il più arrabbiato è Giorgio Cremaschi, leader dei metalmeccanici della Cgil: «Gli applausi a un imprenditore condannato per strage sono un inqualificabile atto di vergogna morale che si abbatte sulla Confindustria. Invito gli industriali a dissociarsi da questo atto e a condannarlo con tutta la durezza possibile, altrimenti saranno soggetti al massimo della condanna politica, sociale, civile e morale. Con chi applaude gli omicidi condannati non c'è nulla da discutere, nulla da dialogare».

Il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, stigmatizza gli industriali che hanno provato a giustificare la contestazione perché la sentenza scoraggia gli stranieri dall'investire in Italia: «È decisamente fuori luogo - dice Scudiere - collegare l'allontanamento degli investimenti esteri in Italia al rispetto delle sentenze». Il segretario generale dell'Ugl, Giovanni Centrella, osserva che «se un imprenditore sbaglia deve pagare, e trovo gli applausi di parte delle assise di Confindustria un grosso errore».

Il segretario confederale della Uil, Paolo Pirani, parla di «iniziativa fuori luogo» e di «caduta di stile da parte di Confindustria». «Al di là dei giudizi che si possono dare sulla sentenza - spiega - credo che vada fatto ogni sforzo per favorire gli investimenti e la sicurezza. Non possiamo pensare che gli investimenti possano arrivare perché c'è poca sicurezza. È su questo terreno che vanno stabilite positive relazioni industriali, favorendo gli investimenti». Anche il segretario generale della Fim-Cisl, Giuseppe Farina, dice di non vedere rischi all'orizzonte per gli investimenti in Italia: «Non credo che la sentenza possa allontanarli. Piuttosto è una sentenza che deve essere rispettata da tutti e anche dalla Confindustria. A me sembra che bisogna applaudire le sentenze della magistratura, salvo poi ricorrere in appello».

Si sdegnano i famigliari delle vittime della Thyssen: secondo la loro associazione Legami d'Acciaio, «Confindustria dimostra un cinico disprezzo verso la vita dei lavoratori». Nel definire «gravissime la posizione e le dichiarazioni di Confindustria», l'associazione protesta perché «Confindustria, anziché prendere le distanze dagli assassini della ThyssenKrupp, che non hanno esitato a lucrare ignobilmente sulla pelle dei lavoratori, esprime loro solidarietà e vicinanza, dimenticando il terribile calvario patito dalle vittime e dai loro familiari».

Confindustria non vuole alimentare le polemiche ma precisa che a Bergamo l'applauso non era di solidarietà al manager della Thyssen ma contro il concetto di omicidio volontario applicato, in questo contesto, solo in Italia. Ieri sera Emma Marcegaglia si è messa in contatto con l'associazione Legami d'Acciaio per riaffermare la vicinanza di Confindustria ai familiari delle vittime e ribadire «l'impegno assoluto di garantire sempre di più la sicurezza nei luoghi di lavoro con iniziative concrete».

 

mercoledì 4 maggio 2011

Thyssen: Fiom, inaccettabile posizione Comune Terni

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"Sbalordisce e indigna l'atto approvato all'unanimità dal Consiglio comunale di Terni in merito alla sentenza ThyssenKrupp". Così in una nota Maurizio Marcelli, responsabile dell'ufficio Salute, ambiente e sicurezza della Fiom. "Sbalordisce - spiega il sindacalista - perché la giusta necessità di difendere il lavoro e i lavoratori ternani non può essere scambiato con l'accettazione del ricatto della ThyssenKrupp che, a causa della sentenza di Torino, minaccia di andarsene dall'Italia".

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Il Consiglio comunale di Terni, secondo Marcelli, "di fatto accetta il ricatto della ThyssenKrupp nel momento in cui valuta la sentenza come abnorme perché troppo severa con l'azienda. Forse le vite perdute di sette lavoratori non valgono la condanna non solo dei dirigenti aziendali, ma anche quella dell'azienda a pagare un milione di euro e a non avere i finanziamenti pubblici per sei mesi?" E ancora: "È inaccettabile che un Consiglio comunale, che dovrebbe avere l'obiettivo fondamentale di tutelare le condizioni dei propri cittadini anche come lavoratori, faccia suo il punto di vista dell'azienda, finendo per accettare l'ipotesi dello scambio del lavoro con la vita dei lavoratori".

La Fiom, conclude Marcelli, "contrasterà questa posizione perché auspicava che, a Torino, si giungesse a questa sentenza. Ci siamo infatti costituiti parte civile proprio perché continuiamo a pensare che si debba rimettere in discussione il modello produttivo che ha ridotto i lavoratori a merce e non a persone e che porta malattie, infortuni e morti. Noi contrasteremo la ThyssenKrupp che minaccia di rimettere in discussione la sua permanenza in Italia quasi che gli investimenti, nel nostro paese, siano possibili solo a condizione di non rispettare le norme e le leggi sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. La vera sfida per la tenuta del sito ternano e per la permanenza della ThyssenKrupp in Italia è e dovrà continuare ad essere relativa non all'abbattimento dei costi, ma alla qualità dei processi e dei prodotti".

 da Nuova Società


Operai Tyssen: Coppola, Fassino e Musy a "Chi l'ha visto?"

Martedì 03 Maggio 2011 10:28

Dopo tre settimane dalla nostra Lettera aperta ai Candidati Sindaco e dopo una iniziale e formale, per quanto generica, disponibilità ad incontrarci, i lavoratori della ThyssenKrupp ancora in Cigs dal marzo 2010 (di fatto da 3 anni e mezzo senza lavoro!) ancora aspettano di incontrare i Candidati.
Visto, come si suol dire che "La speranza è l'ultima a morire", prima del Voto sarebbe gradito oltreché doveroso da parte Loro, incontrarci per poterci dare la possibilità di raccontare i nostri problemi, la vicenda e l'ingiustizia perpetrata ai nostri danni da alcune aziende ex municipalizzate con la compromettente partecipazione dell'Amministrazione Comunale, in seno all'Assessorato al Lavoro del Comune e magari cercare di affrontare e risolvere la questione.
In verità qualcuno si è visto, e l'unico incontro avvenuto è quello di ieri con il Candidato Juri Bossuto per la Federazione della Sinistra, che al di là di prese di posizione, di preoccupazione per i fatti successi e dichiarazioni di solidarietà ha garantito il suo impegno per far luce sulla vicenda ed il ruolo avuto dall'Amministrazione uscente, qualora fosse eletto e qualunque sarà il ruolo che ricoprirà.
La nostra situazione lavorativa è divenuta ormai insostenibile ed improrogabile: il prossimo 30 giugno per noi scadono gli ammortizzatori sociali e in più veniamo discriminati nella riassunzione perchè costituiti come Parte Civile nel processo contro la ThyssenKrupp. Altri colleghi sono stati invece riassunti in aziende private (Alenia Aerospazio) oppure ex municipalizzate (Smat e Amiat). Nessuno di questi era costituito Parte Civile nel processo. Se non è una discriminazione questa! Per questi motivi urge un intervento decisivo da parte della massima Istituzione a livello cittadino. Riteniamo, non presuntuosamente ma legittimamente, di dover essere posti tra le priorità del calendario di incontri dell'On. Fassino (e di tutti i candidati Sindaco di Torino), il quale si è reso disponibile all'incontro e ha dichiarato più volte di porre al centro del suo programma elettorale e di governo della Città il tema del rilancio dell'occupazione e dei giovani. Non possiamo più permetterci e non siamo più disposti ad aspettare che il tempo passi e che la nostra situazione rimanga insoluta. Chiediamo solo qualche istante di tempo. Il motivo dei tanti impegni addotto dall'Ufficio Stampa dell'On. Fassino, che finora ha impedito l'incontro, ci sembra più un pretesto per glissare un argomento imbarazzante che l'uscente Amministrazione ha affrontato in maniera discriminatoria e selettiva, senza mai spiegare criteri e metodi per la ricollocazione degli ex operai ThyssenKrupp che non fossero rispondenti alle norme esistenti e ad una regolare selezione.
Ovviamente siamo disponibili al confronto, al cospetto dei Media e possiamo comprovare con argomenti e fatti ciò che sosteniamo e per cui rivendichiamo giustizia.

Operai ThyssenKrupp

Thyssen: operai in Cigs a candidati sindaci a Torino, aiutateci

Torino, 3 mag. - (Adnkronos) - Chiedono aiuto con una lettera aperta ai tre principali candidati sindaci al comune di Torino, Piero Fassino, Michele Coppola e Alberto Musy, gli operai della Thyssen in cassaintegrazione. I lavoratori del'associazione Legami d'Acciaio ricordano che il prossimo 30 giugno scadono gli ammortizzatori sociali e sostengono di essere "discriminati nella riassunzione perche' costituiti come parte civile nel processo contro la ThyssenKrupp. Altri colleghi sono stati invece riassunti in aziende private oppure ex municipalizzate. Nessuno di questi - sottolineano - si era costituito parte civile nel processo". La lettera arriva dopo tre settimane dalla prima missiva con cui gli operai chiedevano un incontro con i candidati per esporre i loro problemi "urge un intervento decisivo da parte della massima Istituzione a livello cittadino - scrivono - Riteniamo, non presuntuosamente ma legittimamente, di dover essere posti tra le priorita' del calendario di incontri dei candidati. Non possiamo piu' permetterci e non siamo piu' disposti ad aspettare che il tempo passi e che la nostra situazione rimanga insoluta - concludono - Chiediamo solo qualche istante di tempo".


04.05.2011 http://www.blitzquotidiano.it

Comunali Torino, operai Thyssen a candidati: Perché non ci incontrate?

Torino – "Dopo tre settimane dalla nostra lettera aperta ai candidati sindaco e dopo una iniziale e formale, per quanto generica, disponibilità ad incontrarci, i lavoratori della ThyssenKrupp ancora in cassa integrazione straordinaria dal marzo 2010 e di fatto da tre anni e mezzo senza lavoro, ancora aspettano di incontrare i candidati". Lo scrivono gli operai e i familiari delle vittime della Thyssen, in una lettera indirizzata a Piero Fassino, Michele Coppola e Alberto Musy, candidati per il centrosinistra, centrodestra e terzo polo. La lettera è firmata Legami d'acciaio, l'associazione nata dopo la strage del 6 dicembre 2007 in cui persero la vita sette operai. "Prima del voto sarebbe gradito – proseguono gli operai – oltreché doveroso da parte loro, incontrarci per poterci dare la possibilità di raccontare i nostri problemi, la vicenda e l'ingiustizia perpetrata ai nostri danni da alcune aziende ex municipalizzate con la compromettente partecipazione dell'amministrazione comunale, in seno all'assessorato al lavoro del Comune e magari cercare di affrontare e risolvere la questione".


Adesione allo Sciopero Generale del 6 maggio

 

Gli operai ThyssenKrupp di Torino (alcuni dei quali discriminati nella ricollocazione lavorativa per essersi costituiti come Parte Civile nel procedimento contro la multinazionale tedesca per il rogo che ha causato 7 morti nel dicembre 2007) aderiscono, partecipano e invitano a partecipare allo Sciopero Generale indetto dalla Cgil  il 6 maggio.

Giornata di mobilitazione per uno sciopero che diventi il più possibile generale e generalizzato, che blocchi il Paese e metta al centro la questione del lavoro sicuro e dignitoso per tutte e tutti, lo stop ai ricatti voluti da Marchionne e dalla Confindustria, che scaricano il peso della crisi solo ed esclusivamente sui lavoratori, la fine del precariato che grava su milioni di giovani, donne, immigrati.

Una giornata di lotta per cacciare il criminale Governo Berlusconi (e tutti i suoi lacchè), che investe ingenti quantità di denaro nell'inutile guerra in Libia anziché destinarli a ciò di cui abbiamo bisogno: uguali diritti per tutte e tutti ad un lavoro sicuro e dignitoso, alla casa, all'istruzione pubblica, alla salute.

Cacciare Berlusconi non basta, serve costruire un'alternativa possibile e necessaria: rafforzando le lotte e il coordinamento di tutte quelle realtà (organizzazioni sindacali, associazioni, comitati, reti e coordinamenti) che come noi già oggi si battono per la difesa dei diritti e della Costituzione, per costruire un nostro governo che trasformi in provvedimenti pratici e leggi le nostre rivendicazioni, obiettivi e aspirazioni.

 

 Torino, 04 maggio 2011                                                               Operai ThyssenKrupp Torino

Thyssen, sentenza non replicabile


Parla Beniamino Deidda, procuratore generale a Firenze. "È stata esemplare, ma provare il dolo, anche eventuale, è sempre una cosa assai complicata. Il legislatore e i giudici dovrebbero ripensare i reati colposi"


di Enrico Galantini
Thyssen, sentenza esemplare ma difficilmente replicabile (foto  
"La prima considerazione che mi è venuta in mente all'annuncio della sentenza è che giustizia era stata fatta". A dirlo è Beniamino Deidda, procuratore generale a Firenze, al quale abbiamo chiesto di ragionare con 2087 sulla sentenza ThyssenKrupp, con la quale a metà aprile la Corte di Assise di Torino ha condannato a pene pesantissime i dirigenti della multinazionale tedesca dove il 6 dicembre del 2007 sette operai erano morti in un incendio alla linea 7. Uno dei più gravi incidenti sul lavoro mai verificatisi nel nostro paese. "L'evento era davvero gravissimo: sette morti in quel modo, con quella serie di carenze già rilevate in passato all'interno della fabbrica. Una pena severissima, com'è stata quella che ha colpito la dirigenza della ThyssenKrupp mi pare in qualche modo una sentenza esemplare. Per la prima volta per questo tipo di reato abbiamo avuto in Italia una pena proporzionata alla gravità del danno provocato".

E in tempi relativamente brevi…

Deidda Diversamente da quanto accade normalmente nei processi per infortunio o malattia professionale, questa volta la magistratura ha dato prova di un celerità notevole, di una grande capacità e di una altissima specializzazione. Sono tre cose che difficilmente s'incontrano tutte insieme. La magistratura, di fronte a fenomeni così diffusi in tutto il territorio nazionale, raramente arriva al giudizio; quando ci arriva, ciò avviene spessissimo con gravi ritardi. Infine quando si arriva alla condanna, a volte essa consiste in pene irrisorie e certamente sproporzionate alla gravità dei fatti. Insomma, abbiamo una magistratura che, per solito, dal punto di vista della specializzazione e dell'efficienza, in materia di infortuni professionali, lascia a desiderare. Tutte queste cose dobbiamo dire rispetto alla sentenza torinese, che è stata resa più facile dalla presenza del dott. Guariniello, che è persona di grandissima esperienza e professionalità, e poi dei due colleghi pm che l'hanno affiancato, che si sono rivelati di grandissima competenza. Siamo dunque di fronte a un caso che per molti versi, può essere definito eccezionale.

Molte persone hanno parlato di una sentenza epocale, tale cioè da imprimere una svolta ai processi per gli infortuni sul lavoro. Lei è d'accordo?

Sicuramente è la prima volta che si ha una sentenza di queste proporzioni. Ed è anche la prima volta che si punisce a titolo di dolo un reato – l'omicidio sul lavoro – che solitamente ha visto la contestazione della fattispecie colposa. Mi chiedo se, al di là del caso ThyssenKrupp, lo schema giuridico accolto dalla sentenza possa essere proposto per gli altri infortuni sul lavoro per il futuro. Su questo devo confessarle che ho qualche dubbio.

Perché?

Vede, nel codice Rocco, che risale agli anni '30, il legislatore ha punito i reati più gravi a titolo di dolo, i reati più lievi a titolo di colpa e un gruppo di reati minori li ha considerati come contravvenzioni. Tutto questo era giustificabile negli anni '30, quando il nostro era prevalentemente un paese agro-pastorale, in cui i rischi legati alle modalità della convivenza civile erano scarsi: non c'erano automobili, non si moriva per un incidente stradale, gli alimenti non erano sofisticati ecc. Insomma, quello che noi chiamiamo il "diritto penale del rischio" non era sviluppato. La punibilità era legata al verificarsi di un evento punito dal codice penale e non veniva presa in considerazione la violazione delle norme di cautela, di prudenza o di diligenza, il cui rispetto oggi è essenziale per una convivenza ordinata e sicura.

E così quei reati che nel 1930, al tempo del codice Rocco, avevano scarsa importanza, nella vita di oggi assumono un'importanza enorme. Cementificare le colline intorno alla città espone l'autore ancor oggi a una semplice contravvenzione edilizia. Inquinare un fiume integra appena una contravvenzione. Oggi tutti reclamiamo una maggiore severità delle sentenze sugli incidenti stradali mortali, o sugli infortuni sul lavoro o le malattie professionali. Oggi insomma il contesto sociale è cambiato ed è cambiata di conseguenza la rilevanza di alcuni comportamenti colposi capaci di recare danno alla collettività. Oggi abbiamo bisogno di rafforzare la punibilità per colpa. I reati colposi sono i reati della modernità e hanno bisogno di più attenzione da parte di tutti. Bisogna stare attenti a non danneggiare involontariamente i diritti delle persone per colpa, cioè per negligenza, per imprudenza, per imperizia ecc. La perizia, la prudenza, la diligenza sono requisiti che oggi nel vivere civile contano molto più di ieri, perché senza di essi si può mettere a repentaglio la stessa convivenza. La scelta di punire per dolo i comportamenti di chi non rispetta le norme di prevenzione è una scelta che da questo punto di vista non si muove nella stessa direzione verso la quale si evolve la vita della collettività.

Mi chiedo perciò se in prospettiva non ci si debba augurare che il legislatore provveda a rafforzare la colpa e cioè ad assegnare un rango di maggiore gravità ai reati colposi, piuttosto che prevedere nuovi delitti dolosi in materia di prevenzione degli eventi dannosi. Aggiungo che provare il dolo, anche eventuale, non è così semplice. Ci sono riusciti a Torino perché le indagini sono state condotte molto bene, perché hanno trovato gli elementi caratteristici della previsione dolosa dell'evento dannoso. Ma insomma, non è semplice e non è facile per tutti gli infortuni sul lavoro.

Ma in questo caso, se si fosse puntato sulla colpa, non si sarebbe potuto raggiungere un risultato altrettanto significativo…

Di solito nei reati colposi non soltanto il reato viene ritenuto di minore gravità. Ma vengono date pene assai inferiori a quelle che lo stesso codice prevede. A volte si danno otto mesi, un anno per un omicidio colposo; a Torino gli anni sono stati quindici. È così vistosa la disparità con cui abbiamo trattato finora i reati di infortunio rispetto a quanto è stato deciso per il caso ThyssenKrupp da indurci a riflettere. Il reato colposo avrebbe potuto prevedere una pena fino a sette anni, con un notevole aumento, trattandosi di omicidio di più persone. Ma la novità maggiore è che questa volta è stata contestato l'evento mortale come effetto voluto della condotta criminosa.

Ma che cosa vuol dire esattamente "dolo eventuale", quello che è stato imputato ai dirigenti della ThyssenKrupp?

Vuol dire che si è ritenuto che i dirigenti della ThyssenKrupp fossero coscienti del fatto che, per la violazione delle norme di sicurezza, qualcuno dei lavoratori poteva morire. Si erano rappresentati l'evento, l'eventualità della morte. L'avevano in qualche modo messa in conto. E, nonostante ciò, sono andati avanti nel violare le norme di prevenzione.

Tornando alla colpa, lei dice insomma che bisogna essere più duri per quanto riguarda i reati colposi…

Soprattutto bisogna dare alla colpa il peso che le spetta nella società moderna. I comportamenti colposi assumono oggi un peso molto più grave che in passato. Se uno corre ad eccessiva velocità e investe una persona sulle strisce pedonali, certo che è avvenuto per colpa. Ma l'effetto è la morte di un uomo. In passato non capitava di dover difendere il diritto alla vita soprattutto attraverso i reati colposi. Oggi a settant'anni e passa di distanza dal codice penale, capita sempre più spesso. Abbiamo dunque la necessità di adeguare i nostri strumenti: i reati colposi sono socialmente più gravi che in passato e vanno puniti più adeguatamente di quanto non si faccia ora. Il codice Rocco li riteneva marginali. Oggi invece sono diventati i reati con cui si attenta alla convivenza civile.

Ma chi deve intervenire, il legislatore o i giudici?

Tutti e due. I giudici hanno una percezione sbrigativa dell'accidentalità del fatto infortunistico. Per formazione, per essere cresciuti nell'ambito di un codice penale vecchio, la maggior parte di noi non ha una sufficiente consapevolezza del fatto che l'indifferenza verso i doveri sociali – di attenzione, di diligenza, di perizia – ha una gravità inaudita nella vita civile contemporanea. Lo stesso vale per il legislatore, che dovrebbe adeguare la considerazione e le pene per i reati colposi secondo il comune sentimento dei cittadini. Naturalmente, tutto questo non scalfisce minimamente l'importanza e la novità della sentenza di Torino. Resta cioè il fatto che abbiamo vissuto una pagina di storia giudiziaria per molti versi esemplare.

Anche se lo schema ThyssenKrupp secondo lei non è così facilmente replicabile in futuro ad altri casi…

Certo non in tutti i casi di infortunio. Lo ripeto: provare il dolo, anche eventuale, è cosa assai complicata.

Ma una sentenza come quella di Torino, secondo lei, reggerà in appello?

Come faccio a risponderle? Non ho poteri divinatori…

Ultima questione. Lei prima parlava della celerità, dell'efficienza, della specializzazione dimostrati dalla Procura di Torino. Qualità che spesso mancano da altre parti. Non è questa una ragione a favore di una Procura nazionale anti-infortuni, almeno per i casi più importanti?

Ripeto ciò ho risposto all'analoga domanda postami dalla commissione parlamentare sugli infortuni sul lavoro. Mentre per quanto riguarda la procura antimafia, il fenomeno su cui indaga è unico ed è necessario stabilire i collegamenti tra le tante sue manifestazioni, questo non è il caso degli infortuni sul lavoro. Che sono diversi a seconda della tipologia delle aziende, del territorio, delle strutture, degli investimenti. Non c'è un fenomeno criminoso per gli infortuni che possa essere considerato unitariamente. Io credo che sarebbe meglio che a specializzarsi fossero in tanti magistrati, razionalmente distribuiti sul territorio.

Questa intervista apre il numero 5 di 2087, in uscita in questi giorni. Il numero è dedicato al tema della sicurezza nel settore dei trasporti. Chi fosse interessato si può rivolgere a Stefania Parisi, chiamando lo 06.44.888.207 o inviando una mail a s.parisi@rassegna.it



http://www.rassegna.it/articoli/2011/05/02/73867/thyssen-sentenza-non-replicabile

AI CANDIDATI SINDACO PER LA CITTA' DI TORINO :

ALLA PROSSIMA PUNTATA DI "Chi l'ha visto"…

… SE CI SIETE "BATTETE UN COLPO" !?

 

All'On. Piero Fassino

       Ass. Reg. Michele Coppola

       Prof. Dott. Alberto Musy

 

Dopo tre settimane dalla nostra Lettera aperta ai Candidati Sindaco e dopo una iniziale e formale, per quanto generica, disponibilità ad incontrarci, i lavoratori della ThyssenKrupp ancora in Cigs dal marzo 2010 (di fatto da 3 anni e mezzo senza lavoro!) ancora aspettano di incontrare i Candidati.

Visto, come si suol dire che "La speranza è l'ultima a morire", prima del Voto sarebbe gradito oltreché doveroso da parte Loro, incontrarci per poterci dare la possibilità di raccontare i nostri problemi, la vicenda e l'ingiustizia perpetrata ai nostri danni da alcune aziende ex municipalizzate con la compromettente partecipazione dell'Amministrazione Comunale, in seno all'Assessorato al Lavoro del Comune e magari cercare di affrontare e risolvere la questione.      

In verità  qualcuno si è visto, e l'unico incontro avvenuto è quello di ieri con il Candidato Juri Bossuto per la Federazione della Sinistra, che al di là di prese di posizione, di preoccupazione per i fatti successi e dichiarazioni di solidarietà ha garantito il suo impegno per far luce sulla vicenda ed il ruolo avuto dall'Amministrazione uscente, qualora fosse eletto e qualunque sarà il ruolo che ricoprirà.

La nostra situazione lavorativa è divenuta ormai insostenibile ed improrogabile: il prossimo 30 giugno per noi scadono gli ammortizzatori sociali e in più veniamo discriminati nella riassunzione perchè costituiti come Parte Civile nel processo contro la ThyssenKrupp. Altri colleghi sono stati invece riassunti in aziende private (Alenia Aerospazio) oppure ex municipalizzate (Smat e Amiat). Nessuno di questi era costituito Parte Civile nel processo. Se non è una discriminazione questa! Per questi motivi urge un intervento decisivo da parte della massima Istituzione a livello cittadino. Riteniamo, non presuntuosamente ma legittimamente, di dover essere posti tra le priorità del calendario di incontri dell'On. Fassino (e di tutti i candidati Sindaco di Torino), il quale si è reso disponibile all'incontro e ha dichiarato più volte di porre al centro del suo programma elettorale e di governo della Città il tema del rilancio dell'occupazione e dei giovani. Non possiamo più permetterci e non siamo più disposti ad aspettare che il tempo passi e che la nostra situazione rimanga insoluta. Chiediamo solo qualche istante di tempo. Il motivo dei tanti impegni addotto dall'Ufficio Stampa dell'On. Fassino, che finora ha impedito l'incontro, ci sembra più un pretesto per glissare un argomento imbarazzante che l'uscente Amministrazione ha affrontato in maniera discriminatoria e selettiva, senza mai spiegare criteri e metodi per la ricollocazione degli ex operai ThyssenKrupp che non fossero rispondenti alle norme esistenti e ad una regolare selezione.

Ovviamente siamo disponibili al confronto, al cospetto dei Media  e possiamo comprovare con argomenti e fatti ciò che sosteniamo e per cui rivendichiamo giustizia.

 

 

                                                                                                         Ass. Legami d'Acciaio Onlus

Torino, 3 maggio 2011                                                                         Operai ThyssenKrupp                                            

 

 

Intervento di Sergio Bonetto,  Avv. di parte civile degli operai ThyssenKrupp

 

Più volte i difensori degli imputati hanno prospettato la tesi secondo la quale la tragedia del 6 dicembre 2007 sarebbe stata sostanzialmente imprevedibile e che ci si troverebbe quindi di fronte ad una fatalità. Più volte hanno sottolineato come, a loro avviso, non sarebbero state fornite indicazioni né dalla normativa né dagli enti preposti per l'adozione di misure necessarie ad evitarla.

Riteniamo che le considerazioni svolte dal Pubblico Ministero, che facciamo integralmente nostre, apprezzandone, in particolare, l'accuratezza, la puntualità e il senso di giustizia che le domina, abbiano ricostruito in modo del tutto corretto la verità dei fatti ed abbiano portato a richieste  sanzionatorie assolutamente equilibrate.

Da parte nostra, consci delle inevitabili limitazioni che il nostro ruolo processuale comporta, (la costituzione di parte civile è esclusivamente riferita alle violazioni, da parte di tutti gli imputati, dell'art. 437 del codice penale),  pensiamo di potere proporre un piccolo contributo a sottolineare ulteriormente come ci si trovi di fronte ad un caso assolutamente inconsueto per quanto attiene l'intensità della responsabilità degli imputati.

Tale profilo rientra tra quelli, diciamo così, di nostra competenza in quanto, pacificamente, è questo uno dei parametri per la determinazione del danno non patrimoniale, nel caso specifico quello che sino a pochi anni or sono era individuato come "danno morale da reato".

 

Vorremmo iniziare richiamando una norma dal sapore vagamente archeologico.

Si tratta del DECRETO MINISTERIALE (Ministero dell'interno) 31 luglio 1934, senza numero, ma pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 settembre 1934, n. 228,  avente ad oggetto l'approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l'immagazzinamento, l'impiego o la vendita di oli minerali e per il trasporto degli oli stessi. La norma è riportata come ancora oggi vigente da tutte le banche dati e dal commentario "Diritto del Lavoro" diretto  da Franco Carinci, UTET 2000 pag. 351.

Si tratta di una regolamentazione - la prima introdotta nel nostro paese - molto puntigliosa, che elenca le misure di sicurezza da adottare in tutte le attività produttive o commerciali che implicano la produzione, lo stoccaggio, la movimentazione e la commercializzazione degli oli minerali.

Il decreto prende in esame  tutte le ipotesi: dallo scarico delle petroliere sino alla vendita al minuto di oli in taniche.

 

Nel paragrafo "Avvertenze generali" si può leggere:

. "V.  Debbono essere curati il massimo ordine e la maggiore pulizia ovunque sono depositate, manipolate o lavorate sostanze che possono dar luogo a scoppio od incendio. .........

VI.  Sono formalmente vietati, nel recinto degli stabilimenti e dei depositi, ........... i mucchi di casse vecchie, di rottami di legno, di segatura, di trucioli, di stracci, di carta e simili tanto più se imbrattati di sostanze infiammabili o grasse..........Gli stracci puliti e quelli usati e unti devono stare separatamente: i primi, nell'interno delle officine e dei laboratori, gli altri fuori, entro apposite cassette (preferibilmente metalliche), con coperchio ed iscrizione. Gli stracci impregnati di liquidi infiammabili o di vernici, devono stare in speciali cassette metalliche munite di coperchio, situate all'esterno dai laboratori e discoste dai medesimi......

VII.  I mezzi di estinzione, di cui deve essere conosciuta perfettamente l'esistenza, l'ubicazione e l'uso, da tutti gli addetti ai depositi e agli stabilimenti nei quali si conservano o si manipolano sostanze pericolose di scoppio o di incendio, devono essere tenuti in evidenza. Tali mezzi devono essere preferibilmente tinti in rosso, perché risultino più appariscenti. Gli estintori, i recipienti e le carriole con sabbia, i secchielli, gli attrezzi, ecc. debbono essere posti preferibilmente all'esterno dell'ingresso degli ambienti e dei locali dello stabilimento o del deposito, e nei luoghi di passaggio, perché siano prontamente sotto mano. …....

Si prevede poi, nel dettaglio, l'obbligo di detenere, conservare in buona efficienza e rendere facilmente utilizzabili tutti i mezzi antincendio (estintori, sabbia ecc).

Così più avanti nel medesimo decreto:

 XI.  Il personale adibito a depositi o a stabilimenti nei quali si conservano o si lavorano oli minerali e loro derivati, deve essere istruito sulle cautele da osservare per ovviare a incendi e a scoppi, e per intervenire prontamente ed efficacemente in caso di bisogno.

È opportuno che siano fatte frequenti prove collettive, durante le quali si dovrà sperimentare l'opportunità delle disposizioni particolari stabilite (se occorre, di concerto coi civici pompieri) per i locali pericolosi..... Di frequente devono essere eseguite esercitazioni colle pompe e con qualche estintore, rimettendo poi questi immediatamente in ordine colle cariche di riserva, in modo che siano sempre efficienti per le materie per le quali dovrebbero eventualmente servire, e in stato di perfetto funzionamento."

E ancora: "37.  Negli stabilimenti e nei depositi devono essere sempre impiantati mezzi di varia specie, per una sicura e pronta comunicazione coi civici pompieri, dove esistono.

In questo caso, i raccordi degli idranti e delle manichette dello stabilimento o del deposito devono corrispondere a quelli usati dai pompieri.

Se non è destinato permanentemente apposito personale alla estinzione degli incendi, è necessario che le direzioni degli stabilimenti e dei depositi facciano impartire apposita istruzione a qualche operaio (che deve portare sempre uno speciale distintivo, preferibilmente di color rosso).

È necessario, per prevenire gli incendi, che negli stabilimenti e nei depositi di oli minerali siano curati in maniera assoluta l'ordine e la pulizia, sia osservata la disciplina più rigorosa e sia assicurato il perfetto funzionamento di ogni macchina, di ogni apparecchio e di ogni veicolo. "

Siamo nel 1934, prima che nascessero tutti  gli attuali imputati,  e queste sono le prime misure introdotte in Italia per la prevenzione dei disastri industriali con riferimento al rischio incendio per ogni tipo di produzione che comporti l'utilizzo e la manipolazione di oli combustibili.

Estrema pulizia dello stabilimento, rimozione e segregazione immediata dei materiali infiammabili quali la carta, istruzione accurata del personale, frequenti esercitazioni collettive con la partecipazione dei pompieri, facile comunicazione con gli stessi, perfetto funzionamento e manutenzione degli apparati antincendio.

Quale sia la distanza tra le semplici, ma efficaci, misure che il decreto richiede e la condizione   in cui gli imputati avevano ridotto lo stabilimento ThyssenKrupp di Torino, sarà oggetto della considerazione di questa Corte e dovrà essere, per restare vincolati alla tematica che, come operai, ci compete, elemento essenziale per la individuazione della gravità del rischio cui, per almeno due anni, sono stati esposti gli addetti della ThyssenKrupp di Torino.

Che la situazione dello stabilimento - ampiamente documentata e chiaramente illustrata dal Pubblico Ministero - sia stato il risultato del comportamento doloso degli imputati lo si riscontra agevolmente non solo per il contrasto tra quanto previsto dalla normativa e la situazione concreta della fabbrica,  ma anche dalle dichiarazioni rese in questa aula da un teste che, prima che lo stabilimento passasse sotto il controllo di ThyssenKrupp, vi aveva svolto attività di pompiere come dipendente.

All'udienza  del 16  luglio 2009,  GAROFALO Giuseppe dichiara (verbali d'Udienza):

"Adr.: Inizialmente sono stato assunto come manutentore elettrico e poi mi è stata fatta la proposta di lavorare come vigile del fuoco;

Adr.: inizialmente eravamo diversi vigili per squadra: operavamo su tre turni e le squadre erano quattro Ogni squadra era composta da quattro, cinque vigili a turno sino ad arrivare a un vigile del fuoco a turno nell'ultimo periodo;

Adr.: L' attività era quella di tenere sotto controllo tutti gli impianti, la manutenzione di tutti gli impianti antincendio nello stesso tempo dovevamo fare la manutenzione degli estintori , assistenza impianti;

Adr.: noi caricavamo tutti gli estintori. Tenevamo sotto controllo tutte le manichette nello stesso tempo quando ci chiamava la meccanica e la elettrica noi andavamo lì con il nostro estintore, mettevamo in sicurezza l'impianto a volte facevamo mettere una coperta mangia-fuoco quando magari saldavano…;

I lavoratori ci chiamavano sempre perchè quelle erano le indicazioni della azienda.

Adr.: gli addetti ci chiamavano per intervenire sull'inizio di incendio. Noi avevamo la nostra campagnola andavano con i nostri estintori perché magari quelli sul posto erano stati usati e non ci fidavamo, staccavamo l'impianto e intervenivamo;

Adr.. il lavoratore se vedeva un piccolo incendio magari iniziava ad intervenire;

Adr.. noi avevamo tutti i sistemi di sicurezza. Avevamo anche l'auto attrezzata;

Adr.. nell'intervento per prima cosa si metteva in sicurezza l'impianto poi si interveniva o con l'acqua o con l'estintore dipendeva da dove era nato l'incendio;

Adr.. tutti i giorni ho fatto interventi. Mi spiace che non avevo i rapportino: noi scrivevamo tutto ciò che facevamo in sede di intervento;

r.: noi non ci facevamo prendere dal panico: davamo noi una valutazione di come intervenire;

è capitato che qualche volta abbiamo chiamato i pompieri esterni quando vedevamo che l'incendio si propagava troppo in fretta non avevamo l'attrezzatura adatta e quindi chiamavamo…;

adr.. incendi grossissimi se ne saranno verificati cinque o sei in cui sono intervenuti anche pompieri esterni;

adr.: negli incendi di questi anni non ci  sono state vittime perché erano incendi che ti davano il tempo per riflettere…facevi in tempo ad andare via e di fatti non è mai successo niente;

r.. noi la prima cosa che dicevamo alla gente era di allontanarsi tutti…;

d.. ma l'intervento sulla fiamma chi lo faceva?

r.:" i pompieri".

Il Sig.Garofalo non lavorava nel 1934, era stato assunto nel 1973 ed era andato in prepensionamento nel 2001.

Da allora, in quello stabilimento oltre alla proprietà era cambiato il livello di civiltà.

Quantomeno sino al 2001, se si verificava un principio di incendio, I lavoratori ci chiamavano sempre perchè quelle erano le indicazioni della azienda. Dice il teste

Tutti noi, invece, abbiamo sentito ripetere, da tutti gli operai sentiti, che, sempre, in caso di incendio, i primi ad intervenire erano, per precisa disposizione aziendale, gli operai, per il solo fatto di essere addetti, magari da un giorno soltanto, a quella lavorazione ove si verificava l'incendio. E ciò in modo del tutto indipendente dalle loro conoscenze tecniche in materia di antincendio.

E dal tono generale delle deposizioni si riscontra chiaramente che gli stessi operai ritenevano che "così si dovesse fare". Avevano perso persino la memoria che, in caso di incendio, si avesse diritto a sistemi complessivi di sicurezza.

Questo noi contestiamo con tutta la nostra forza agli imputati: avere trasformato, nel giro di pochi anni, un ambiente di lavoro relativamente sicuro ed in cui, per lo meno, gli addetti avevano coscienza dei rischi cui erano esposti, in un luogo in cui la tragedia era immanente ed in cui gli operai venivano "convinti" che tra i loro compiti vi fosse quello di valutare se trattasse di "incendi di palese gravità".

E' questa la principale violazione dell'art. 2087 che contestiamo agli imputati ed al responsabile civile: non avere consentito ai lavoratori di conoscere i rischi cui erano esposti.

La coscienza del rischio è, per ognuno, la premessa di qualsiasi attività produttiva, la mancata cura della conoscenza o, come nel caso concreto, l'organizzazione di un sistema di produzione che escludeva, per le frequenti rotazioni di personale, anche la teorica possibilità che la conoscenza del rischio venisse acquisita significa porre le premesse del disastro.

Questa condizione di "minorità" al cospetto dei gravi rischi che comporta la produzione siderurgica e quella di uno stabilimento in corso di dismissione in particolare, non colpiva solo gli addetti alle lavorazioni.

Sentiamo cosa ci ha detto uno degli  "eredi naturali", sul piano delle mansioni assegnate, del pompiere Garofalo.

Dichiarava (sempre dai verbali di udienza) all'udienza del  5 marzo 2009  l'operaio PONTIN Mauro, addetto alla squadra di emergenza che è intervenuta la notte del 6 dicembre 2007:   

"Adr: Quella sera abbiamo sentito che una guardia diceva che c'era un incendio alla 5. Il nostro allarme era spento. Ci siamo messi il giubbotto e abbiamo preso il Fiorino e ci diamo diretti alla linea .

Adr: Abbiamo cercato il capoturno ma non ha risposto. Non sapevamo chi fosse il capoturno ma in quelle sere c'era Rocco Marzo.

Adr: Abbiamo provato a passare da dietro della linea 5. Ha provato ad aprire il portone ma non si apriva. Lui  (l'operaio DI FIORE) è andato a piedi e io ho fatto il giro dall'altra parte. Ho superato la prima campata e mi sono visto delle persone semicarbonizzate e mi sono spaventato.

Ho visto A. LAURINO fuori dall'incendio. Sono andato verso il Fiorino per cercare una coperta ma non l'ho trovata. Sono tornato indietro e ho detto a tutti di andare via. DI FIORE voleva intervenire ma gli ho detto che non c'era niente da fare. Volevo portare via i ragazzi ma non riuscivo a toccarli. R. SCOLA era sdraiato a terra, carbonizzato. A. LAURINO era rannicchiato e rantolava. Altri sono riusciti a prenderli. Io non ci riuscivo e avevo paura di fargli male.

Ci siamo chiesti dove fossero i vigili del fuoco e siamo andati verso la campata 4.

Li ho incontrati e ho visto che andavano verso la campata 3. Mi hanno chiesto che cosa bruciava ma io non conoscevo la macchina. Ci hanno detto di andare.

D: Che tipo di corsi ha fatto?

Adr: Il corso antincendio l'ho fatto nel febbraio-marzo 2008. Io sono arrivato in ecologia senza sapere che cosa fosse. Ho imparato dal DI FIORE. Ma era lui che mi faceva vedere dove erano le gallerie. Non ho fatto corsi in quel periodo. Sono andato qualche volta in galleria.

Adr: Noi dovevamo andare giù se scoppiava l'allarme dove c'era il sensore allarmato. Se l'incendio era di lieve entità bisognava spegnerlo se era grave bisognava avvertire il capoturno.

Adr: Non so dire come facevamo a dire se l'incendio era grave.

Adr: Sono sceso qualche volta in galleria ma si era trattato solo di una perdita di vapore o di un sensore sporco.

D: Quando un incendio era di palese gravità?

Adr: Quando un incendio è scoppiato da qualche minuto e vicino c'è della roba pericoloso. Io non ho saputo dire ai Vigili del Fuoco che cosa bruciasse.

Adr: Quando sono entrato in ditta mi hanno fatto un giorno di corso. 

Adr: Il corso è stato fatto da Camillo LUCENTI il primo giorno che sono stato assunto. Non ho fatto altri corsi. Mi davano a volte delle informative che io firmavo."

Le dichiarazioni, ce lo ricordiamo bene, l'operaio Pontin le ha rese piangendo.

Come spiegheranno gli imputati la distanza di anni luce tra i toni da lui utilizzati per descrivere la situazione ed il tono di orgoglio per un lavoro ben fatto, in sicurezza, che traspariva dalle dichiarazioni di Garofalo?

Questa terribile testimonianza di Pontin che, per le mansioni svolte, avrebbe dovuto essere in grado di intervenire in caso di incendio, rende evidente gli effetti del percorso criminale degli imputati che, nel giro di pochi anni, hanno trasformato un ambiente di lavoro pericoloso ma sostanzialmente sotto il controllo degli addetti, in una anticamera dell'inferno in cui, in pratica, solo il caso ha deciso chi dovessero essere le vittime.

Vittime del tutto impreparate, come i loro compagni di lavoro, a fronteggiare il destino che gli imputati avevano preparato per loro.

Tra le numerose testimonianze rese vogliamo richiamarne ancora una. Quella di chi pochissimi giorni prima del 6 dicembre ha cessato di svolgere le mansioni di capoturno ed è stato sostituito da Rocco Marzo.

Così ha dichiarato Abisso Salvatore all'udienza del 14 luglio 2009 (sempre verbali di udienza):

"Ho maturato la mia esperienza nel reparto ove è successo l'incidente.

Ho lavorato fino al 30 settembre 2007.

Ero capo turno su tutte le linee: BA, linea 4 e 5.

Adr.. conoscevo bene l'impianto. Prima di fare capo turno ero leader.

Il ruolo che ricoprivo era quello di jolly: risolvevo i problemi.. sostituivo le persone..

Adr.: quando sono entrato sono stato affiancato da una persona.

All'inizio il periodo di prova era di 15 giorni. L'affiancamento veniva fatto da una persona pratica che non ti faceva toccare niente fino a quando non era sicuro che ti eri impratichito

Questo è successo per tanti anni. Anche io quando ho fatto il capo turno non lasciavo la persona da sola. Negli ultimi tempi non c'era più questo affiancamento.

Adr.: Questo dal 2000 in poi. Non c'è stato affiancamento per niente: l'unico modo per addestrare il ragazzo era di fermarsi in straordinario.

Negli ultimi anni poi, il lavoro della persona che andava via veniva accollato dai lavoratori rimasti. Se non si trovava nessuno bisognava chiamare a casa la persona disponibile ma non sempre si trovava la persona disponibile perché accadeva sempre piu' spesso.

r.: i lavoratori non erano sempre gli stessi perché si ricorreva allo straordinario.

…. era il capo turno che doveva gestire la situazione: negli ultimi anni era diventato una anarchia.. molto spesso andavo a cercare le persone e mi trovavo che la persona che mi serviva era stata spostata da Salerno o da qualcun altro: molto spesso io mi sono lamentato

d.: da chi veniva sostituito il lavoratore spostato in questo modo?

r.: da nessuno. A volte lasciavo sguarnito alcuni settori a scapito di altri

la linea 5 era l'impianto più stressato anche come lavorazione: ci andava gente di una certa capacità e c'era bisogno anche di gente giovane perché bisognava correre

 Adr.: i nostri ruoli sono stati assunti da ragazzi inesperti

d.: praticamente non avevano mai operato sulla linea?

r.: si… Marzo qualche giorno prima venne da me perché gli spiegassi come funzionava l'impianto. Abbiamo fatto un giro sulla linea poi io ho dovuto andare per una emergenza e ci siamo lasciati con l'intesa che ci saremmo rivisti il giorno dopo ma poi non ci vedemmo neanche il giorno dopo.

d: se ne faceva manutenzione programmata?

r...: se ne faceva poca perché molti guasti venivano segnati come manutenzione programmata sul computer alla fine del mese queste ore venivano a mancare alla manutenzione..

d.: aveva la possibilità di fermare l'impianto?

r… di giorno era quasi impossibile: chiedevo sempre al mio superiore. Di notte si, perché ci dicevano che eravamo responsabili dello stabilimento. Però si segnava tutto sul libro quello che c'era stato se non capivano bene quello che era successo durante la notte mi telefonavano anche a casa

adr… il consumo di olio era pazzesco: olio se ne perdeva troppo. Era anche un costo notevole per loro

d.: perdite di olio voleva dire anche sotto l'impianto?

r.: soprattutto sotto l'impianto. Quando avevamo la possibilità di chiamare l'impresa… da un anno anche di più , dal 2006 c'è stato un taglio generalizzato delle imprese di pulizie e manutenzione programmata.. nell'ultimo anno mi fu detto che non avevo più la possibilità di fare la chiamata..

d.: estintori …

r.: prima ...due tre anni prima non c'erano problemi nell'ultimo periodo (2006)  se ne cambiavano molti di estintori … io ne ho cambiati 16 perché era un susseguirsi di piccoli incendi… un giorno ne parlai con il  sig. Cafueri sottoponendogli il problema  dal punto di vista economico: gli dissi se non fosse  un costo cambiare sempre estintori e lui rispose che faceva parte dei costi fissi.

Secondo me era sintomo di degrado di malessere che non era da sottovalutare… che poi non so se quegli estintori che usavamo erano quelli giusti perché a volte quando lo usavo vedevo la carta che volava infiammata ma io non ero un pompiere non avevo fatto dei corsi

d.: le è successo di fermare l'impianto in contrasto con i dirigenti?

r.: più di una volta sono stato richiamato perché fermavo l'impianto

di notte me la gestivo io la situazione: di giorno avevo di più la mani legate

adr.: verso giugno prese fuoco il loop cart di entrata: fu un incendio di certe dimensioni. Vennero chiamati i vigili anche se riuscimmo a domarlo noi. Alla fine fummo richiamati perché non avevamo rispettato la prassi per la chiamata dei vigili

d: ha sempre funzionato così il sistema?

r.: no prima avevamo una squadra di pompieri interna allo stabilimento (fino al 2000) che gestivano tutte le calamità: anche quando si facevano le saldature si chiamavano i pompieri se loro non davano la abilità non si poteva saldare.

Ho fatto un solo corso all'inizio ma non approfondito: ci insegnarono ad usare gli estintori , le manichette.. ma corsi sugli acidi…niente.

d.: lei ai rappresentanti dei lavoratori ha segnalato le anomalie nella manutenzione,pulizia.?

r.. questo lavoro lo facevo tramite i miei superiori. Al sindacato non andavo a denunciare una cosa che mi si ritorceva contro

d. Presidente: da quando avevano tagliato le imprese di pulizia la linea era lasciata sporca..

adr.: gli incendi più frequenti erano dovuti alla cattiva manutenzione e quindi alla presenza di olio, carta … le scintille ci sono sempre state ma se la linea è pulita non succede niente.

adr.: sono venuti a lavorare dei lavoratori tedeschi in due occasioni: ci dicevano che lavoravamo in un pianeta diverso.

Lamentavano che l'impianto era sporco, la cattiva manutenzione. Dicevano che in Germania le linee erano ben curate."

Ci scusiamo per la lunghezza della citazione, ma ci pare che dalla lettura di questa deposizione emergano con evidenza i motivi della presenza dei lavoratori in questo processo ed emergano altresì i profili sostanziali del danno da questi subiti, quantomeno a partire dal 2006.

E' quello appena richiamato il punto di vista di un responsabile operativo che vede, nel corso degli anni il deterioramento degli impianti ed il crescere dei rischi, la condizione di "anarchia" in cui è piombato lo stabilimento, con lavoratori inesperti e capi turno, come lo stesso Abisso, con insufficiente conoscenza dei pericoli (Ho fatto un solo corso all'inizio ma non approfondito).

Anche dalle parole di Abisso emerge una sorta di rassegnazione di fronte al progressivo precipitare della situazione verso un "un pianeta diverso" in cui non si poteva che convivere con la cattiva manutenzione, con la presenza di olio, carta e scintille.

Ancora una volta il primo profilo di responsabilità - e per altro verso, di danno -  è quello di avere distrutto la coscienza del rischio tra gli operai in nome di una produzione che non si poteva (a detta dei dirigenti) fare altrimenti. 

Se si fermano gli impianti si viene richiamati, se si chiamano i pompieri si viene richiamati, si spiega ai capi turno che non bisogna più chiamare le imprese di pulizia.

Si spiega, evidentemente, agli stessi capiturno che non ci si doveva rivolgere ai sindacati 

(Al sindacato non andavo a denunciare una cosa che mi si ritorceva contro).

Ci troviamo di fronte al lucido disegno degli imputati che, in funzione di una prosecuzione della produzione "sino all'ultimo uomo", smantellano coscientemente tutti i sistemi organizzativi e di sicurezza che nel corso degli anni lo stabilimento si era dato e, contemporaneamente, abbassano il livello di coscienza del rischio negli addetti.

L'ufficio del Procuratore della Repubblica ci ha chiaramente illustrato come il livello quantitativo degli incendi presso lo stabilimento di Torino fosse assolutamente abnorme.

Nel 2006 e 2007 era, invece, considerato "normale" dagli addetti che, più volte alla settimana, vi fossero principi di incendio in ogni reparto.

Prima non era così.

A nostro avviso, e forse ci ripetiamo, il volontario e sistematico svilimento della coscienza del rischio tra gli operai è il profilo di responsabilità primo e più importante.

Gli imputati così facendo hanno violato tanto l'art. 437 del codice penale quanto l'art. 2087 del codice civile, che prevede che l'imprenditore adotti tutte misure necessarie a garantire "l'integrità fisica e la personalità morale" del lavoratore. In questo caso si è fatto, coscientemente, il contrario.

Il rogo del dicembre 2007 ha improvvisamente reso chiaro a tutti quale era l'effetto di quella decisione di produrre ad ogni costo.

La decisione di proporre queste costituzioni di parte civile è maturata nel corso di una assemblea svoltasi nel gennaio 2008.

 Il clima era terreo. Inizialmente, per una decina di minuti, nessuno ha parlato. Poi si è alzato un lavoratore che, a voce bassa, ha detto: "quello che è successo è colpa anche nostra, dovevamo rifiutarci di lavorare in quelle condizioni. Non ce ne rendevamo conto". Aveva ragione.

In questo processo non abbiamo sentito nessuno che non fosse un operaio fare dichiarazioni di questo tipo, non gli imputati, ma neppure i soggetti istituzionali chiamati a garantire il rispetto delle regole di sicurezza sul lavoro.

Quella assemblea del gennaio 2008 è stato il primo segno che la tendenza al degrado si era interrotta.

 Dopo di allora nessuno tra i lavoratori costituiti parte civile ha più accettato di soggiacere al ricatto.

Coloro che sono riusciti a trovarsi un lavoro (senza alcuna collaborazione da parte di ThyssenKrupp) sono stati posti di fronte all'alternativa: o rinunciavano alla costituzione di parte civile o, per vedersi pagate per intero le spettanze di fine rapporto, avrebbero dovuto "fare causa" all'azienda.

La condizione economica di un cassaintegrato non è florida, ma nessuno, ripeto, nessuno  ha accettato. Tutti hanno scelto di rivendicare (fortunatamente con esito positivo) in sede giudiziaria i loro diritti.

Qualcuno non ha, ancora oggi, visto concludersi l'iter giudiziario.

Per coloro che un lavoro non lo hanno trovato è stato peggio. Ancora nel 2010 la società ha avuto il coraggio di riproporre,  pubblicamente, le proprie posizioni: la proroga della cassa integrazione sarebbe stata richiesta solo se i lavoratori avessero rinunciato alle costituzioni di parte civile.

Nessuno ha accettato.

I lavoratori hanno pubblicamente protestato, giorno e notte, per giorni, davanti alla sede della Regione Piemonte, sino a che la Giunta Regionale è riuscita ad ottenere dalla società la rinuncia alle proprie illegittime pregiudiziali.

Le costituzioni di parte civile di questi lavoratori hanno, quindi, esattamente questo significato sostanziale: rendere evidente a tutti, con la forza di una pronuncia di questa Corte, che nessuno avrebbe dovuto lavorare in quelle condizioni e che a "quelle condizioni" si era giunti per responsabilità, mai come in questo caso solidale, degli imputati.

 

Queste forti ragioni sostanziali della costituzione di parte civile sono, a nostro avviso, sorrette da ragioni giuridiche egualmente forti.  

Come accennato, le domande che i lavoratori oggi propongono sono quelle relative all'accertamento che, dalla consumazione da parte degli imputati del reato di cui all'art. 437 codice penale, è derivato un danno alle parti civili, che tale danno ha natura non patrimoniale e che gli imputati solidalmente con il responsabile civile debbono, in questa sede, essere condannati al risarcimento del danno stesso nella sua integralità in una misura da determinarsi, da parte di questa Corte,  in via equitativa.

 Si illustreranno, infine, i motivi per i quali deve trovare applicazione in questo caso il primo comma dell'art. 540 codice di procedura penale.

Come abbiamo tentato di spiegare due sono gli elementi fattuali cui ci si riferisce: da un lato la condizione di generale progressivo e programmaticamente perseguito dagli imputati degrado delle misure di sicurezza nello stabilimento (riduzione di personale esperto e di manutenzione e pulizie, obbligo generalizzato di svolgere attività in postazioni in cui non si conoscevano i rischi specifici), dall'altro progressivo abbattimento della percezione del rischio da parte dei lavoratori come effetto diretto del comportamento degli stessi imputati (mancata formazione sui rischi specifici, obbligo per ogni lavoratore di procedere individualmente alla valutazione della gravità del pericolo, continua rotazione del personale).

Entrambi gli elementi appaiono funzionali alla scelta di continuare l'attività produttiva riducendo al minimo i costi economici nella fase di dismissione dell'impianto.

Entrambi gli elementi costituiscono evidente violazione dell'art. 2087 CC, praticamente attuata dagli imputati nell'interesse del responsabile civile.

Non pare per altro dubitabile che, nel caso di specie, tali comportamenti, per tutti i motivi con completezza specificati dalla Procura della Repubblica, integrino anche la violazione dell'art. 347 del codice penale.

Il nostro ragionamento si svilupperà, perciò, d'ora in avanti, considerando come accertati i fatti sopra indicati e le responsabilità degli imputati nella loro determinazione.

Si tratterà, allora, di valutare se questa specifica violazione dell'art. 437 abbia comportato un danno non patrimoniale alle parti civili costituite e quale possa essere una ipotesi di quantificazione di tale danno.

Pacificamente, ancora una volta è inevitabile richiamare la completa esposizione del Pubblico Ministero, l'art. 437 è reato plurioffensivo.

La pubblica incolumità nel caso specifico si identifica nella incolumità quantomeno dei lavoratori manuali occupati presso la ThyssenKrupp. Tale comunità comprendeva, quindi, tutti i lavoratori costituiti parte civile.

Per altro sostenere che, nella situazione aziendale ampiamente descritta dal Pubblico Ministero si possa ritenere che i lavoratori (quantomeno quelli manuali) della ThyssenKrupp non siano stati, in conseguenza delle molteplici violazioni di legge da parte degli imputati, esposti, per il periodo di tempo contestato, al rischio di subire danni fisici, apparirebbe surreale. 

Come da più parti ripetuto ciò è sufficiente per individuare un danno da reato per violazione dell'art. 437 codice penale.

Da questo punto di vista a nulla rileva che le parti civili non abbiano, la notte del 6 dicembre  2007, subito danni fisici diretti.

Non lo richiede la norma (che pacificamente è considerata individuare una fattispecie di "reato di pericolo"), mentre il caso concreto, così come ricostruito in questa aula, ha evidenziato che solo per una serie di elementi casuali l'incendio si è verificato proprio la sera del 6 dicembre e solo per caso ha coinvolto "solamente" la linea 5 (si pensi agli effetti  dell'incendio sviluppatosi sulle linea di produzione in Germania).

Le condizioni generali dello stabilimento erano tali da rendere possibile in qualsiasi momento, a partire dal 2006, il verificarsi di catastrofi industriali dalla portata imprevedibile.

 Già si era detto nell'atto di costituzione di parte civile, richiamando consolidati principi della Suprema Corte, che nella valutazione circa la sussistenza nel singolo caso di violazioni dell'art. 2087 cod. civ., "assumono rilevanza non soltanto gli eventi che costituiscono una conseguenza necessitata della condotta datoriale, secondo un giudizio prognostico "ex ante", ma anche tutti gli eventi possibili, rispetto ai quali la condotta medesima si ponga con un nesso di causalità adeguata; "Cass. civ., Sez. lavoro, 07/06/2007, n. 13309.

Nel caso di specie, poi, i comportamenti contestati agli imputati risultano tutti, anche singolarmente considerati, commessi in violazione di specifiche normative anti-infortunistiche; conseguentemente non è indispensabile fare riferimento all'art. 2087 c.c. quale "norma di chiusura",  ma semplicemente accertare che le singole violazioni gli imputati le hanno commesse e che il complesso di tali violazioni ha integrato la fattispecie di cui all'art 437 cod. pen.  

Si evita in questa sede di riproporre o riprodurre  il contenuto dell'atto di costituzione di parte civile per quanto riguarda l'esistenza, in termini generali, in caso di violazione dell'art. 437, del danno non patrimoniale da reato. Ci si limita a richiamare le argomentazioni già a suo tempo sviluppate.

Semplicemente si sottolinea come il dibattimento abbia confermato, anche visivamente, lo stato di profonda prostrazione morale di tutti gli operai sentiti.

A rigore non risultava necessaria una specifica verifica processuale, in quanto in questa fattispecie, trattandosi di soggetti (gli operai) tutelati in via diretta dalla norma incriminatrice, ci si trova in una fattispecie assimilabile, da questo punto di vista,  a quella della vittima, ad esempio, di tentato omicidio, 

 "2.4. L'art. 2059 c.c., è norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.

L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela.

2.5.Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato ("Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui").

           2.9. La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria.

            2.10. Nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.U. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sentenza. n. 4186/1998; S.U. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

La limitazione alla tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poiché né l'art. 2059 c.c., né l'art. 185 c.p., parlano di danno morale, e tanto meno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al tempo di vita effettiva: n. 19057/2003; n. 3806/2004; n. 21683/2005).

Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.

In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato.

Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale"

Così Cassazione Civile Sezioni Unite 26972/2008.

Questi i principi di diritto elaborati dalla Suprema Corte, per altro, tutti abbiamo visto come la sofferenza e il lutto non elaborato abbiano dominato le dichiarazioni in questa aula dei compagni di lavoro di chi è deceduto per responsabilità degli imputati.

E' ovviamente impossibile fornire la prova certa, caso per caso, di quanto dell'angoscia che ha travolta tutti dipenda dal dolore per la perdita dei compagni di lavoro e quanto dalla coscienza della gravità dei rischi personalmente corsi, i due profili si sono saldati in ognuno in modo inestricabile.   

Da questo punto di vista questo processo ha rappresentato una verifica empirica della saggezza dell'impianto normativo che prevede, in termini generali, la sussistenza del danno non patrimoniale per le vittime di reato senza necessità di prova specifica.

 

Questa Corte ha l'opportunità di contribuire in modo fondamentale anche  all'elaborazione di questi lutti, applicando con rigore la legge e, quindi, da un lato dichiarando le responsabilità degli imputati per i reati loro contestati e dall'altro riconoscendo quali vittime della violazione dell'art. 437 cod. pen. tutti gli operai della ThyssenKrupp, in questo modo ricongiungendo i vivi ai caduti.

Il nostro ruolo nel processo ci costringe, a questo punto, a vincere una crediamo comprensibile reticenza ed affrontare il tema della quantificazione del danno.

Non possiamo evitarlo.

Pacifico essendo che nel caso specifico ci si debba riferire a parametri di equità, non crediamo abbia alcun senso ipotizzare che la quantificazione possa essere demandata ad altro giudice.

Non è necessaria, né logicamente ipotizzabile,  alcuna nuova attività giudiziaria per valutare   quale debba essere  l'entità di quella quota del danno non patrimoniale, che sino a pochi anni or sono veniva qualificata come "danno morale".

Anzi, sarebbe a nostro avviso palesemente incongruo un nuovo giudizio finalizzato esclusivamente a questo scopo.

Non si vede chi meglio di questa Corte, che ha sentito tutti i testimoni e che ha valutato nella processualmente possibile immediatezza i fatti, potrebbe valutare l'intensità del patimento morale sopportato dalle parti civili in conseguenza diretta della condotta degli imputati.

Non nascondiamo di avere valutato, particolarmente nelle fasi iniziali del dibattimento, l'opportunità di una richiesta di risarcimento puramente simbolica.

Ciò che ci ha fatto decidere in senso del tutto opposto è stato sia il comportamento processuale della maggior parte degli imputati, ed in particolare di coloro che, per l'attività svolta, erano più direttamente a contatto con gli operai esposti al rischio determinato dalle carenze di tutele antinfortunistiche, che la "scoperta" che i controlli delle strutture pubbliche sul rispetto della normativa in tutela della salute dei lavoratori fossero quantomeno condizionati dai responsabili ThyssenKrupp.

I fatti sono noti e sono stati oggetto di trattazione da parte dell'ufficio del Pubblico Ministero che ha chiesto la trasmissione degli atti per procedere tanto in relazione alle pressioni intervenute sui testi ed alle false testimonianze quanto con riferimento ai comportamenti degli organi di controllo.

Ciò spinge le parti civili a richiedere un risarcimento del danno che tenga conto di tali comportamenti.

Non si tratta di suggerire surrettiziamente l'introduzione della categoria del "risarcimento punitivo", estraneo al nostro sistema e di cui non si vede la necessità, ma di adeguare al caso concreto, così come costantemente insegna la Cassazione, la valutazione in via equitativa.

A fronte di comportamenti illeciti che, assumendo nuove forme, si protraggono dopo il verificarsi dell'evento,  non può che risultare "esaltato" l'elemento soggettivo del reato e, conseguentemente, non può che essere più violento l'effetto morale sulle vittime.

Se al reato doloso si assommano comportamenti illeciti degli imputati orientati a mascherare le vere responsabilità, tentando di farle ricadere, almeno parzialmente, sulle vittime è consequenziale ritenere che il danno non patrimoniale patito dalle vittime stesse si accresca.

Un secondo elemento di cui, ad avviso delle parti civili, si dovrà tenere conto nella quantificazione del danno è la durata dell'esposizione al rischio cui sono stati esposti i lavoratori ed il progressivo aggravarsi del rischio stesso.

Al momento del dramma del 6 dicembre la situazione preso la ThyssenKrupp di Torino era estrema, ma, come correttamente contestato dall'imputazione, era dal 2006 che gli imputati avevano iniziato a gestire coscientemente il degrado dello stabilimento.

Il protrarsi per circa due anni del comportamento delittuoso, senza un'incertezza o un ripensamento, reca come conseguenza sia una intensificazione del profilo soggettivo della responsabilità sia un incremento oggettivo del rischio. Si pensi alla mancata manutenzione: più passa il tempo più si moltiplicano i pericoli. 

Un ulteriore, per altro ovvio, elemento di cui si dovrà tenere conto è che questo tipo di danno non patrimoniale non può e non deve fare distinzioni in base alla posizione sociale e al reddito.

Non osiamo immaginare quali richieste risarcitorie potrebbero proporre uomini politici o amministratori di grandi società che risultassero esposti con dolo a rischio di infortunio mortale per due anni.

E' esperienza comune che si vedano proporre richieste di risarcimento milionarie per  affermazioni giornalistiche  presuntamente lesive dell'immagine.

La Corte, nel rendere giustizia, dovrà procedere alla valutazione del danno morale degli operai esattamente con gli stessi schemi che adotterebbe se a correre il rischio di morte sul lavoro fosse stato un grande manager o un importante uomo politico.

Il nostro sistema costituzionale prevede che la vita, ed il rischio di perderla, abbiano lo stesso valore  per tutti.

Questi sono i parametri di equità che le parti civili chiedono che siano presi in considerazione.

Circa l'entità economica del risarcimento, ovviamente sarà la Corte ad individuarla ma le parti civili ritengono che non dovrà  essere inferiore  ad euro 6000 mensili per il periodo che va dal giugno 2006 al maggio 2007 e ad euro 10000 mensili per il periodo giugno 2007 -  6 dicembre 2007 ciò in conseguenza  del progressivo aggravarsi dell'intensità del rischio;  e così, complessivamente, 128.999.9 €  per ogni parte civile costituita.

 

Già si è accennato al fatto che le parti civili costituite sono state, a partire dal 7 dicembre 2007, sospese in cassa integrazione a zero ore con consequenziale drastica riduzione del reddito. Pure si è accennato al fatto che le parti civili costituite sono state oggetto di pressioni improprie da parte del responsabile civile per spingerle a rinunciare alle costituzioni di parte civile, tanto in occasione della chiusura del rapporto lavorativo quanto in sede di richieste di cassa integrazione.

Ed ancora, i tentativi illeciti di modificare il naturale andamento di questo processo sono stati posti in essere sicuramente anche in danno delle parti civili costituite.

Se a ciò si aggiunge la grande differenza esistente tra il patrimonio degli imputati e del responsabile civile rispetto a quella delle parti civili risulta evidente la gravatorietà e l'ingiustizia sostanziale di un differimento della dichiarazione di esecutività alla sentenza definitiva.

Risultano perciò sussistenti nel caso di specie i giustificati motivi per rendere la sentenza che sarà resa provvisoriamente esecutiva ex art 540 1° comma cpp.

 

Proponendo queste richieste gli operai costituiti parte civile sono convinti di assolvere all'impegno da loro assunto scegliendo di essere presenti, con gli strumenti che l'ordinamento consente, nel processo anziché limitarsi ad esserne spettatori: contribuire a giungere all'accertamento della verità dei terribili fatti che hanno straziato sette famiglie  e sconvolto milioni di italiani, contribuire ad accertare le responsabilità di quanto è accaduto e, al tempo stesso, ottenere, di fatto, il riconoscimento che per le imprese è, anche economicamente, oltre che eticamente, più  vantaggioso  investire nelle misure necessarie a garantire la sicurezza  di chi lavora, che tentare di sfuggire alle proprie responsabilità.

Pochi mesi fa un ministro di questa Repubblica ha pubblicamente dichiarato che "la sicurezza sul lavoro è un lusso che non possiamo permetterci ".

Noi siamo convinti esattamente del contrario e cioè che è l'insicurezza sul lavoro ed il degrado che le imprese non possono permettersi né sul piano etico né su quello economico. Il nostro sistema costituzionale e l'intero impianto normativo lo impediscono. Siamo convinti che questa Corte lo confermerà. Il delitto non paga.