mercoledì 4 maggio 2011

 

Intervento di Sergio Bonetto,  Avv. di parte civile degli operai ThyssenKrupp

 

Più volte i difensori degli imputati hanno prospettato la tesi secondo la quale la tragedia del 6 dicembre 2007 sarebbe stata sostanzialmente imprevedibile e che ci si troverebbe quindi di fronte ad una fatalità. Più volte hanno sottolineato come, a loro avviso, non sarebbero state fornite indicazioni né dalla normativa né dagli enti preposti per l'adozione di misure necessarie ad evitarla.

Riteniamo che le considerazioni svolte dal Pubblico Ministero, che facciamo integralmente nostre, apprezzandone, in particolare, l'accuratezza, la puntualità e il senso di giustizia che le domina, abbiano ricostruito in modo del tutto corretto la verità dei fatti ed abbiano portato a richieste  sanzionatorie assolutamente equilibrate.

Da parte nostra, consci delle inevitabili limitazioni che il nostro ruolo processuale comporta, (la costituzione di parte civile è esclusivamente riferita alle violazioni, da parte di tutti gli imputati, dell'art. 437 del codice penale),  pensiamo di potere proporre un piccolo contributo a sottolineare ulteriormente come ci si trovi di fronte ad un caso assolutamente inconsueto per quanto attiene l'intensità della responsabilità degli imputati.

Tale profilo rientra tra quelli, diciamo così, di nostra competenza in quanto, pacificamente, è questo uno dei parametri per la determinazione del danno non patrimoniale, nel caso specifico quello che sino a pochi anni or sono era individuato come "danno morale da reato".

 

Vorremmo iniziare richiamando una norma dal sapore vagamente archeologico.

Si tratta del DECRETO MINISTERIALE (Ministero dell'interno) 31 luglio 1934, senza numero, ma pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 settembre 1934, n. 228,  avente ad oggetto l'approvazione delle norme di sicurezza per la lavorazione, l'immagazzinamento, l'impiego o la vendita di oli minerali e per il trasporto degli oli stessi. La norma è riportata come ancora oggi vigente da tutte le banche dati e dal commentario "Diritto del Lavoro" diretto  da Franco Carinci, UTET 2000 pag. 351.

Si tratta di una regolamentazione - la prima introdotta nel nostro paese - molto puntigliosa, che elenca le misure di sicurezza da adottare in tutte le attività produttive o commerciali che implicano la produzione, lo stoccaggio, la movimentazione e la commercializzazione degli oli minerali.

Il decreto prende in esame  tutte le ipotesi: dallo scarico delle petroliere sino alla vendita al minuto di oli in taniche.

 

Nel paragrafo "Avvertenze generali" si può leggere:

. "V.  Debbono essere curati il massimo ordine e la maggiore pulizia ovunque sono depositate, manipolate o lavorate sostanze che possono dar luogo a scoppio od incendio. .........

VI.  Sono formalmente vietati, nel recinto degli stabilimenti e dei depositi, ........... i mucchi di casse vecchie, di rottami di legno, di segatura, di trucioli, di stracci, di carta e simili tanto più se imbrattati di sostanze infiammabili o grasse..........Gli stracci puliti e quelli usati e unti devono stare separatamente: i primi, nell'interno delle officine e dei laboratori, gli altri fuori, entro apposite cassette (preferibilmente metalliche), con coperchio ed iscrizione. Gli stracci impregnati di liquidi infiammabili o di vernici, devono stare in speciali cassette metalliche munite di coperchio, situate all'esterno dai laboratori e discoste dai medesimi......

VII.  I mezzi di estinzione, di cui deve essere conosciuta perfettamente l'esistenza, l'ubicazione e l'uso, da tutti gli addetti ai depositi e agli stabilimenti nei quali si conservano o si manipolano sostanze pericolose di scoppio o di incendio, devono essere tenuti in evidenza. Tali mezzi devono essere preferibilmente tinti in rosso, perché risultino più appariscenti. Gli estintori, i recipienti e le carriole con sabbia, i secchielli, gli attrezzi, ecc. debbono essere posti preferibilmente all'esterno dell'ingresso degli ambienti e dei locali dello stabilimento o del deposito, e nei luoghi di passaggio, perché siano prontamente sotto mano. …....

Si prevede poi, nel dettaglio, l'obbligo di detenere, conservare in buona efficienza e rendere facilmente utilizzabili tutti i mezzi antincendio (estintori, sabbia ecc).

Così più avanti nel medesimo decreto:

 XI.  Il personale adibito a depositi o a stabilimenti nei quali si conservano o si lavorano oli minerali e loro derivati, deve essere istruito sulle cautele da osservare per ovviare a incendi e a scoppi, e per intervenire prontamente ed efficacemente in caso di bisogno.

È opportuno che siano fatte frequenti prove collettive, durante le quali si dovrà sperimentare l'opportunità delle disposizioni particolari stabilite (se occorre, di concerto coi civici pompieri) per i locali pericolosi..... Di frequente devono essere eseguite esercitazioni colle pompe e con qualche estintore, rimettendo poi questi immediatamente in ordine colle cariche di riserva, in modo che siano sempre efficienti per le materie per le quali dovrebbero eventualmente servire, e in stato di perfetto funzionamento."

E ancora: "37.  Negli stabilimenti e nei depositi devono essere sempre impiantati mezzi di varia specie, per una sicura e pronta comunicazione coi civici pompieri, dove esistono.

In questo caso, i raccordi degli idranti e delle manichette dello stabilimento o del deposito devono corrispondere a quelli usati dai pompieri.

Se non è destinato permanentemente apposito personale alla estinzione degli incendi, è necessario che le direzioni degli stabilimenti e dei depositi facciano impartire apposita istruzione a qualche operaio (che deve portare sempre uno speciale distintivo, preferibilmente di color rosso).

È necessario, per prevenire gli incendi, che negli stabilimenti e nei depositi di oli minerali siano curati in maniera assoluta l'ordine e la pulizia, sia osservata la disciplina più rigorosa e sia assicurato il perfetto funzionamento di ogni macchina, di ogni apparecchio e di ogni veicolo. "

Siamo nel 1934, prima che nascessero tutti  gli attuali imputati,  e queste sono le prime misure introdotte in Italia per la prevenzione dei disastri industriali con riferimento al rischio incendio per ogni tipo di produzione che comporti l'utilizzo e la manipolazione di oli combustibili.

Estrema pulizia dello stabilimento, rimozione e segregazione immediata dei materiali infiammabili quali la carta, istruzione accurata del personale, frequenti esercitazioni collettive con la partecipazione dei pompieri, facile comunicazione con gli stessi, perfetto funzionamento e manutenzione degli apparati antincendio.

Quale sia la distanza tra le semplici, ma efficaci, misure che il decreto richiede e la condizione   in cui gli imputati avevano ridotto lo stabilimento ThyssenKrupp di Torino, sarà oggetto della considerazione di questa Corte e dovrà essere, per restare vincolati alla tematica che, come operai, ci compete, elemento essenziale per la individuazione della gravità del rischio cui, per almeno due anni, sono stati esposti gli addetti della ThyssenKrupp di Torino.

Che la situazione dello stabilimento - ampiamente documentata e chiaramente illustrata dal Pubblico Ministero - sia stato il risultato del comportamento doloso degli imputati lo si riscontra agevolmente non solo per il contrasto tra quanto previsto dalla normativa e la situazione concreta della fabbrica,  ma anche dalle dichiarazioni rese in questa aula da un teste che, prima che lo stabilimento passasse sotto il controllo di ThyssenKrupp, vi aveva svolto attività di pompiere come dipendente.

All'udienza  del 16  luglio 2009,  GAROFALO Giuseppe dichiara (verbali d'Udienza):

"Adr.: Inizialmente sono stato assunto come manutentore elettrico e poi mi è stata fatta la proposta di lavorare come vigile del fuoco;

Adr.: inizialmente eravamo diversi vigili per squadra: operavamo su tre turni e le squadre erano quattro Ogni squadra era composta da quattro, cinque vigili a turno sino ad arrivare a un vigile del fuoco a turno nell'ultimo periodo;

Adr.: L' attività era quella di tenere sotto controllo tutti gli impianti, la manutenzione di tutti gli impianti antincendio nello stesso tempo dovevamo fare la manutenzione degli estintori , assistenza impianti;

Adr.: noi caricavamo tutti gli estintori. Tenevamo sotto controllo tutte le manichette nello stesso tempo quando ci chiamava la meccanica e la elettrica noi andavamo lì con il nostro estintore, mettevamo in sicurezza l'impianto a volte facevamo mettere una coperta mangia-fuoco quando magari saldavano…;

I lavoratori ci chiamavano sempre perchè quelle erano le indicazioni della azienda.

Adr.: gli addetti ci chiamavano per intervenire sull'inizio di incendio. Noi avevamo la nostra campagnola andavano con i nostri estintori perché magari quelli sul posto erano stati usati e non ci fidavamo, staccavamo l'impianto e intervenivamo;

Adr.. il lavoratore se vedeva un piccolo incendio magari iniziava ad intervenire;

Adr.. noi avevamo tutti i sistemi di sicurezza. Avevamo anche l'auto attrezzata;

Adr.. nell'intervento per prima cosa si metteva in sicurezza l'impianto poi si interveniva o con l'acqua o con l'estintore dipendeva da dove era nato l'incendio;

Adr.. tutti i giorni ho fatto interventi. Mi spiace che non avevo i rapportino: noi scrivevamo tutto ciò che facevamo in sede di intervento;

r.: noi non ci facevamo prendere dal panico: davamo noi una valutazione di come intervenire;

è capitato che qualche volta abbiamo chiamato i pompieri esterni quando vedevamo che l'incendio si propagava troppo in fretta non avevamo l'attrezzatura adatta e quindi chiamavamo…;

adr.. incendi grossissimi se ne saranno verificati cinque o sei in cui sono intervenuti anche pompieri esterni;

adr.: negli incendi di questi anni non ci  sono state vittime perché erano incendi che ti davano il tempo per riflettere…facevi in tempo ad andare via e di fatti non è mai successo niente;

r.. noi la prima cosa che dicevamo alla gente era di allontanarsi tutti…;

d.. ma l'intervento sulla fiamma chi lo faceva?

r.:" i pompieri".

Il Sig.Garofalo non lavorava nel 1934, era stato assunto nel 1973 ed era andato in prepensionamento nel 2001.

Da allora, in quello stabilimento oltre alla proprietà era cambiato il livello di civiltà.

Quantomeno sino al 2001, se si verificava un principio di incendio, I lavoratori ci chiamavano sempre perchè quelle erano le indicazioni della azienda. Dice il teste

Tutti noi, invece, abbiamo sentito ripetere, da tutti gli operai sentiti, che, sempre, in caso di incendio, i primi ad intervenire erano, per precisa disposizione aziendale, gli operai, per il solo fatto di essere addetti, magari da un giorno soltanto, a quella lavorazione ove si verificava l'incendio. E ciò in modo del tutto indipendente dalle loro conoscenze tecniche in materia di antincendio.

E dal tono generale delle deposizioni si riscontra chiaramente che gli stessi operai ritenevano che "così si dovesse fare". Avevano perso persino la memoria che, in caso di incendio, si avesse diritto a sistemi complessivi di sicurezza.

Questo noi contestiamo con tutta la nostra forza agli imputati: avere trasformato, nel giro di pochi anni, un ambiente di lavoro relativamente sicuro ed in cui, per lo meno, gli addetti avevano coscienza dei rischi cui erano esposti, in un luogo in cui la tragedia era immanente ed in cui gli operai venivano "convinti" che tra i loro compiti vi fosse quello di valutare se trattasse di "incendi di palese gravità".

E' questa la principale violazione dell'art. 2087 che contestiamo agli imputati ed al responsabile civile: non avere consentito ai lavoratori di conoscere i rischi cui erano esposti.

La coscienza del rischio è, per ognuno, la premessa di qualsiasi attività produttiva, la mancata cura della conoscenza o, come nel caso concreto, l'organizzazione di un sistema di produzione che escludeva, per le frequenti rotazioni di personale, anche la teorica possibilità che la conoscenza del rischio venisse acquisita significa porre le premesse del disastro.

Questa condizione di "minorità" al cospetto dei gravi rischi che comporta la produzione siderurgica e quella di uno stabilimento in corso di dismissione in particolare, non colpiva solo gli addetti alle lavorazioni.

Sentiamo cosa ci ha detto uno degli  "eredi naturali", sul piano delle mansioni assegnate, del pompiere Garofalo.

Dichiarava (sempre dai verbali di udienza) all'udienza del  5 marzo 2009  l'operaio PONTIN Mauro, addetto alla squadra di emergenza che è intervenuta la notte del 6 dicembre 2007:   

"Adr: Quella sera abbiamo sentito che una guardia diceva che c'era un incendio alla 5. Il nostro allarme era spento. Ci siamo messi il giubbotto e abbiamo preso il Fiorino e ci diamo diretti alla linea .

Adr: Abbiamo cercato il capoturno ma non ha risposto. Non sapevamo chi fosse il capoturno ma in quelle sere c'era Rocco Marzo.

Adr: Abbiamo provato a passare da dietro della linea 5. Ha provato ad aprire il portone ma non si apriva. Lui  (l'operaio DI FIORE) è andato a piedi e io ho fatto il giro dall'altra parte. Ho superato la prima campata e mi sono visto delle persone semicarbonizzate e mi sono spaventato.

Ho visto A. LAURINO fuori dall'incendio. Sono andato verso il Fiorino per cercare una coperta ma non l'ho trovata. Sono tornato indietro e ho detto a tutti di andare via. DI FIORE voleva intervenire ma gli ho detto che non c'era niente da fare. Volevo portare via i ragazzi ma non riuscivo a toccarli. R. SCOLA era sdraiato a terra, carbonizzato. A. LAURINO era rannicchiato e rantolava. Altri sono riusciti a prenderli. Io non ci riuscivo e avevo paura di fargli male.

Ci siamo chiesti dove fossero i vigili del fuoco e siamo andati verso la campata 4.

Li ho incontrati e ho visto che andavano verso la campata 3. Mi hanno chiesto che cosa bruciava ma io non conoscevo la macchina. Ci hanno detto di andare.

D: Che tipo di corsi ha fatto?

Adr: Il corso antincendio l'ho fatto nel febbraio-marzo 2008. Io sono arrivato in ecologia senza sapere che cosa fosse. Ho imparato dal DI FIORE. Ma era lui che mi faceva vedere dove erano le gallerie. Non ho fatto corsi in quel periodo. Sono andato qualche volta in galleria.

Adr: Noi dovevamo andare giù se scoppiava l'allarme dove c'era il sensore allarmato. Se l'incendio era di lieve entità bisognava spegnerlo se era grave bisognava avvertire il capoturno.

Adr: Non so dire come facevamo a dire se l'incendio era grave.

Adr: Sono sceso qualche volta in galleria ma si era trattato solo di una perdita di vapore o di un sensore sporco.

D: Quando un incendio era di palese gravità?

Adr: Quando un incendio è scoppiato da qualche minuto e vicino c'è della roba pericoloso. Io non ho saputo dire ai Vigili del Fuoco che cosa bruciasse.

Adr: Quando sono entrato in ditta mi hanno fatto un giorno di corso. 

Adr: Il corso è stato fatto da Camillo LUCENTI il primo giorno che sono stato assunto. Non ho fatto altri corsi. Mi davano a volte delle informative che io firmavo."

Le dichiarazioni, ce lo ricordiamo bene, l'operaio Pontin le ha rese piangendo.

Come spiegheranno gli imputati la distanza di anni luce tra i toni da lui utilizzati per descrivere la situazione ed il tono di orgoglio per un lavoro ben fatto, in sicurezza, che traspariva dalle dichiarazioni di Garofalo?

Questa terribile testimonianza di Pontin che, per le mansioni svolte, avrebbe dovuto essere in grado di intervenire in caso di incendio, rende evidente gli effetti del percorso criminale degli imputati che, nel giro di pochi anni, hanno trasformato un ambiente di lavoro pericoloso ma sostanzialmente sotto il controllo degli addetti, in una anticamera dell'inferno in cui, in pratica, solo il caso ha deciso chi dovessero essere le vittime.

Vittime del tutto impreparate, come i loro compagni di lavoro, a fronteggiare il destino che gli imputati avevano preparato per loro.

Tra le numerose testimonianze rese vogliamo richiamarne ancora una. Quella di chi pochissimi giorni prima del 6 dicembre ha cessato di svolgere le mansioni di capoturno ed è stato sostituito da Rocco Marzo.

Così ha dichiarato Abisso Salvatore all'udienza del 14 luglio 2009 (sempre verbali di udienza):

"Ho maturato la mia esperienza nel reparto ove è successo l'incidente.

Ho lavorato fino al 30 settembre 2007.

Ero capo turno su tutte le linee: BA, linea 4 e 5.

Adr.. conoscevo bene l'impianto. Prima di fare capo turno ero leader.

Il ruolo che ricoprivo era quello di jolly: risolvevo i problemi.. sostituivo le persone..

Adr.: quando sono entrato sono stato affiancato da una persona.

All'inizio il periodo di prova era di 15 giorni. L'affiancamento veniva fatto da una persona pratica che non ti faceva toccare niente fino a quando non era sicuro che ti eri impratichito

Questo è successo per tanti anni. Anche io quando ho fatto il capo turno non lasciavo la persona da sola. Negli ultimi tempi non c'era più questo affiancamento.

Adr.: Questo dal 2000 in poi. Non c'è stato affiancamento per niente: l'unico modo per addestrare il ragazzo era di fermarsi in straordinario.

Negli ultimi anni poi, il lavoro della persona che andava via veniva accollato dai lavoratori rimasti. Se non si trovava nessuno bisognava chiamare a casa la persona disponibile ma non sempre si trovava la persona disponibile perché accadeva sempre piu' spesso.

r.: i lavoratori non erano sempre gli stessi perché si ricorreva allo straordinario.

…. era il capo turno che doveva gestire la situazione: negli ultimi anni era diventato una anarchia.. molto spesso andavo a cercare le persone e mi trovavo che la persona che mi serviva era stata spostata da Salerno o da qualcun altro: molto spesso io mi sono lamentato

d.: da chi veniva sostituito il lavoratore spostato in questo modo?

r.: da nessuno. A volte lasciavo sguarnito alcuni settori a scapito di altri

la linea 5 era l'impianto più stressato anche come lavorazione: ci andava gente di una certa capacità e c'era bisogno anche di gente giovane perché bisognava correre

 Adr.: i nostri ruoli sono stati assunti da ragazzi inesperti

d.: praticamente non avevano mai operato sulla linea?

r.: si… Marzo qualche giorno prima venne da me perché gli spiegassi come funzionava l'impianto. Abbiamo fatto un giro sulla linea poi io ho dovuto andare per una emergenza e ci siamo lasciati con l'intesa che ci saremmo rivisti il giorno dopo ma poi non ci vedemmo neanche il giorno dopo.

d: se ne faceva manutenzione programmata?

r...: se ne faceva poca perché molti guasti venivano segnati come manutenzione programmata sul computer alla fine del mese queste ore venivano a mancare alla manutenzione..

d.: aveva la possibilità di fermare l'impianto?

r… di giorno era quasi impossibile: chiedevo sempre al mio superiore. Di notte si, perché ci dicevano che eravamo responsabili dello stabilimento. Però si segnava tutto sul libro quello che c'era stato se non capivano bene quello che era successo durante la notte mi telefonavano anche a casa

adr… il consumo di olio era pazzesco: olio se ne perdeva troppo. Era anche un costo notevole per loro

d.: perdite di olio voleva dire anche sotto l'impianto?

r.: soprattutto sotto l'impianto. Quando avevamo la possibilità di chiamare l'impresa… da un anno anche di più , dal 2006 c'è stato un taglio generalizzato delle imprese di pulizie e manutenzione programmata.. nell'ultimo anno mi fu detto che non avevo più la possibilità di fare la chiamata..

d.: estintori …

r.: prima ...due tre anni prima non c'erano problemi nell'ultimo periodo (2006)  se ne cambiavano molti di estintori … io ne ho cambiati 16 perché era un susseguirsi di piccoli incendi… un giorno ne parlai con il  sig. Cafueri sottoponendogli il problema  dal punto di vista economico: gli dissi se non fosse  un costo cambiare sempre estintori e lui rispose che faceva parte dei costi fissi.

Secondo me era sintomo di degrado di malessere che non era da sottovalutare… che poi non so se quegli estintori che usavamo erano quelli giusti perché a volte quando lo usavo vedevo la carta che volava infiammata ma io non ero un pompiere non avevo fatto dei corsi

d.: le è successo di fermare l'impianto in contrasto con i dirigenti?

r.: più di una volta sono stato richiamato perché fermavo l'impianto

di notte me la gestivo io la situazione: di giorno avevo di più la mani legate

adr.: verso giugno prese fuoco il loop cart di entrata: fu un incendio di certe dimensioni. Vennero chiamati i vigili anche se riuscimmo a domarlo noi. Alla fine fummo richiamati perché non avevamo rispettato la prassi per la chiamata dei vigili

d: ha sempre funzionato così il sistema?

r.: no prima avevamo una squadra di pompieri interna allo stabilimento (fino al 2000) che gestivano tutte le calamità: anche quando si facevano le saldature si chiamavano i pompieri se loro non davano la abilità non si poteva saldare.

Ho fatto un solo corso all'inizio ma non approfondito: ci insegnarono ad usare gli estintori , le manichette.. ma corsi sugli acidi…niente.

d.: lei ai rappresentanti dei lavoratori ha segnalato le anomalie nella manutenzione,pulizia.?

r.. questo lavoro lo facevo tramite i miei superiori. Al sindacato non andavo a denunciare una cosa che mi si ritorceva contro

d. Presidente: da quando avevano tagliato le imprese di pulizia la linea era lasciata sporca..

adr.: gli incendi più frequenti erano dovuti alla cattiva manutenzione e quindi alla presenza di olio, carta … le scintille ci sono sempre state ma se la linea è pulita non succede niente.

adr.: sono venuti a lavorare dei lavoratori tedeschi in due occasioni: ci dicevano che lavoravamo in un pianeta diverso.

Lamentavano che l'impianto era sporco, la cattiva manutenzione. Dicevano che in Germania le linee erano ben curate."

Ci scusiamo per la lunghezza della citazione, ma ci pare che dalla lettura di questa deposizione emergano con evidenza i motivi della presenza dei lavoratori in questo processo ed emergano altresì i profili sostanziali del danno da questi subiti, quantomeno a partire dal 2006.

E' quello appena richiamato il punto di vista di un responsabile operativo che vede, nel corso degli anni il deterioramento degli impianti ed il crescere dei rischi, la condizione di "anarchia" in cui è piombato lo stabilimento, con lavoratori inesperti e capi turno, come lo stesso Abisso, con insufficiente conoscenza dei pericoli (Ho fatto un solo corso all'inizio ma non approfondito).

Anche dalle parole di Abisso emerge una sorta di rassegnazione di fronte al progressivo precipitare della situazione verso un "un pianeta diverso" in cui non si poteva che convivere con la cattiva manutenzione, con la presenza di olio, carta e scintille.

Ancora una volta il primo profilo di responsabilità - e per altro verso, di danno -  è quello di avere distrutto la coscienza del rischio tra gli operai in nome di una produzione che non si poteva (a detta dei dirigenti) fare altrimenti. 

Se si fermano gli impianti si viene richiamati, se si chiamano i pompieri si viene richiamati, si spiega ai capi turno che non bisogna più chiamare le imprese di pulizia.

Si spiega, evidentemente, agli stessi capiturno che non ci si doveva rivolgere ai sindacati 

(Al sindacato non andavo a denunciare una cosa che mi si ritorceva contro).

Ci troviamo di fronte al lucido disegno degli imputati che, in funzione di una prosecuzione della produzione "sino all'ultimo uomo", smantellano coscientemente tutti i sistemi organizzativi e di sicurezza che nel corso degli anni lo stabilimento si era dato e, contemporaneamente, abbassano il livello di coscienza del rischio negli addetti.

L'ufficio del Procuratore della Repubblica ci ha chiaramente illustrato come il livello quantitativo degli incendi presso lo stabilimento di Torino fosse assolutamente abnorme.

Nel 2006 e 2007 era, invece, considerato "normale" dagli addetti che, più volte alla settimana, vi fossero principi di incendio in ogni reparto.

Prima non era così.

A nostro avviso, e forse ci ripetiamo, il volontario e sistematico svilimento della coscienza del rischio tra gli operai è il profilo di responsabilità primo e più importante.

Gli imputati così facendo hanno violato tanto l'art. 437 del codice penale quanto l'art. 2087 del codice civile, che prevede che l'imprenditore adotti tutte misure necessarie a garantire "l'integrità fisica e la personalità morale" del lavoratore. In questo caso si è fatto, coscientemente, il contrario.

Il rogo del dicembre 2007 ha improvvisamente reso chiaro a tutti quale era l'effetto di quella decisione di produrre ad ogni costo.

La decisione di proporre queste costituzioni di parte civile è maturata nel corso di una assemblea svoltasi nel gennaio 2008.

 Il clima era terreo. Inizialmente, per una decina di minuti, nessuno ha parlato. Poi si è alzato un lavoratore che, a voce bassa, ha detto: "quello che è successo è colpa anche nostra, dovevamo rifiutarci di lavorare in quelle condizioni. Non ce ne rendevamo conto". Aveva ragione.

In questo processo non abbiamo sentito nessuno che non fosse un operaio fare dichiarazioni di questo tipo, non gli imputati, ma neppure i soggetti istituzionali chiamati a garantire il rispetto delle regole di sicurezza sul lavoro.

Quella assemblea del gennaio 2008 è stato il primo segno che la tendenza al degrado si era interrotta.

 Dopo di allora nessuno tra i lavoratori costituiti parte civile ha più accettato di soggiacere al ricatto.

Coloro che sono riusciti a trovarsi un lavoro (senza alcuna collaborazione da parte di ThyssenKrupp) sono stati posti di fronte all'alternativa: o rinunciavano alla costituzione di parte civile o, per vedersi pagate per intero le spettanze di fine rapporto, avrebbero dovuto "fare causa" all'azienda.

La condizione economica di un cassaintegrato non è florida, ma nessuno, ripeto, nessuno  ha accettato. Tutti hanno scelto di rivendicare (fortunatamente con esito positivo) in sede giudiziaria i loro diritti.

Qualcuno non ha, ancora oggi, visto concludersi l'iter giudiziario.

Per coloro che un lavoro non lo hanno trovato è stato peggio. Ancora nel 2010 la società ha avuto il coraggio di riproporre,  pubblicamente, le proprie posizioni: la proroga della cassa integrazione sarebbe stata richiesta solo se i lavoratori avessero rinunciato alle costituzioni di parte civile.

Nessuno ha accettato.

I lavoratori hanno pubblicamente protestato, giorno e notte, per giorni, davanti alla sede della Regione Piemonte, sino a che la Giunta Regionale è riuscita ad ottenere dalla società la rinuncia alle proprie illegittime pregiudiziali.

Le costituzioni di parte civile di questi lavoratori hanno, quindi, esattamente questo significato sostanziale: rendere evidente a tutti, con la forza di una pronuncia di questa Corte, che nessuno avrebbe dovuto lavorare in quelle condizioni e che a "quelle condizioni" si era giunti per responsabilità, mai come in questo caso solidale, degli imputati.

 

Queste forti ragioni sostanziali della costituzione di parte civile sono, a nostro avviso, sorrette da ragioni giuridiche egualmente forti.  

Come accennato, le domande che i lavoratori oggi propongono sono quelle relative all'accertamento che, dalla consumazione da parte degli imputati del reato di cui all'art. 437 codice penale, è derivato un danno alle parti civili, che tale danno ha natura non patrimoniale e che gli imputati solidalmente con il responsabile civile debbono, in questa sede, essere condannati al risarcimento del danno stesso nella sua integralità in una misura da determinarsi, da parte di questa Corte,  in via equitativa.

 Si illustreranno, infine, i motivi per i quali deve trovare applicazione in questo caso il primo comma dell'art. 540 codice di procedura penale.

Come abbiamo tentato di spiegare due sono gli elementi fattuali cui ci si riferisce: da un lato la condizione di generale progressivo e programmaticamente perseguito dagli imputati degrado delle misure di sicurezza nello stabilimento (riduzione di personale esperto e di manutenzione e pulizie, obbligo generalizzato di svolgere attività in postazioni in cui non si conoscevano i rischi specifici), dall'altro progressivo abbattimento della percezione del rischio da parte dei lavoratori come effetto diretto del comportamento degli stessi imputati (mancata formazione sui rischi specifici, obbligo per ogni lavoratore di procedere individualmente alla valutazione della gravità del pericolo, continua rotazione del personale).

Entrambi gli elementi appaiono funzionali alla scelta di continuare l'attività produttiva riducendo al minimo i costi economici nella fase di dismissione dell'impianto.

Entrambi gli elementi costituiscono evidente violazione dell'art. 2087 CC, praticamente attuata dagli imputati nell'interesse del responsabile civile.

Non pare per altro dubitabile che, nel caso di specie, tali comportamenti, per tutti i motivi con completezza specificati dalla Procura della Repubblica, integrino anche la violazione dell'art. 347 del codice penale.

Il nostro ragionamento si svilupperà, perciò, d'ora in avanti, considerando come accertati i fatti sopra indicati e le responsabilità degli imputati nella loro determinazione.

Si tratterà, allora, di valutare se questa specifica violazione dell'art. 437 abbia comportato un danno non patrimoniale alle parti civili costituite e quale possa essere una ipotesi di quantificazione di tale danno.

Pacificamente, ancora una volta è inevitabile richiamare la completa esposizione del Pubblico Ministero, l'art. 437 è reato plurioffensivo.

La pubblica incolumità nel caso specifico si identifica nella incolumità quantomeno dei lavoratori manuali occupati presso la ThyssenKrupp. Tale comunità comprendeva, quindi, tutti i lavoratori costituiti parte civile.

Per altro sostenere che, nella situazione aziendale ampiamente descritta dal Pubblico Ministero si possa ritenere che i lavoratori (quantomeno quelli manuali) della ThyssenKrupp non siano stati, in conseguenza delle molteplici violazioni di legge da parte degli imputati, esposti, per il periodo di tempo contestato, al rischio di subire danni fisici, apparirebbe surreale. 

Come da più parti ripetuto ciò è sufficiente per individuare un danno da reato per violazione dell'art. 437 codice penale.

Da questo punto di vista a nulla rileva che le parti civili non abbiano, la notte del 6 dicembre  2007, subito danni fisici diretti.

Non lo richiede la norma (che pacificamente è considerata individuare una fattispecie di "reato di pericolo"), mentre il caso concreto, così come ricostruito in questa aula, ha evidenziato che solo per una serie di elementi casuali l'incendio si è verificato proprio la sera del 6 dicembre e solo per caso ha coinvolto "solamente" la linea 5 (si pensi agli effetti  dell'incendio sviluppatosi sulle linea di produzione in Germania).

Le condizioni generali dello stabilimento erano tali da rendere possibile in qualsiasi momento, a partire dal 2006, il verificarsi di catastrofi industriali dalla portata imprevedibile.

 Già si era detto nell'atto di costituzione di parte civile, richiamando consolidati principi della Suprema Corte, che nella valutazione circa la sussistenza nel singolo caso di violazioni dell'art. 2087 cod. civ., "assumono rilevanza non soltanto gli eventi che costituiscono una conseguenza necessitata della condotta datoriale, secondo un giudizio prognostico "ex ante", ma anche tutti gli eventi possibili, rispetto ai quali la condotta medesima si ponga con un nesso di causalità adeguata; "Cass. civ., Sez. lavoro, 07/06/2007, n. 13309.

Nel caso di specie, poi, i comportamenti contestati agli imputati risultano tutti, anche singolarmente considerati, commessi in violazione di specifiche normative anti-infortunistiche; conseguentemente non è indispensabile fare riferimento all'art. 2087 c.c. quale "norma di chiusura",  ma semplicemente accertare che le singole violazioni gli imputati le hanno commesse e che il complesso di tali violazioni ha integrato la fattispecie di cui all'art 437 cod. pen.  

Si evita in questa sede di riproporre o riprodurre  il contenuto dell'atto di costituzione di parte civile per quanto riguarda l'esistenza, in termini generali, in caso di violazione dell'art. 437, del danno non patrimoniale da reato. Ci si limita a richiamare le argomentazioni già a suo tempo sviluppate.

Semplicemente si sottolinea come il dibattimento abbia confermato, anche visivamente, lo stato di profonda prostrazione morale di tutti gli operai sentiti.

A rigore non risultava necessaria una specifica verifica processuale, in quanto in questa fattispecie, trattandosi di soggetti (gli operai) tutelati in via diretta dalla norma incriminatrice, ci si trova in una fattispecie assimilabile, da questo punto di vista,  a quella della vittima, ad esempio, di tentato omicidio, 

 "2.4. L'art. 2059 c.c., è norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.

L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela.

2.5.Si tratta, in primo luogo, dell'art. 185 c.p., che prevede la risarcibilità del danno patrimoniale conseguente a reato ("Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui").

           2.9. La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul piano dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge, o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad individuare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria.

            2.10. Nell'ipotesi in cui il fatto illecito si configuri (anche solo astrattamente: S.U. n. 6651/1982) come reato, è risarcibile il danno non patrimoniale, sofferto dalla persona offesa e dagli ulteriori eventuali danneggiati (nel caso di illecito plurioffensivo: sentenza. n. 4186/1998; S.U. n. 9556/2002), nella sua più ampia accezione di danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.

La limitazione alla tradizionale figura del c.d. danno morale soggettivo transeunte va definitivamente superata. La figura, recepita per lungo tempo dalla pratica giurisprudenziale, aveva fondamento normativo assai dubbio, poiché né l'art. 2059 c.c., né l'art. 185 c.p., parlano di danno morale, e tanto meno lo dicono rilevante solo se sia transitorio, ed era carente anche sul piano della adeguatezza della tutela, poiché la sofferenza morale cagionata dal reato non è necessariamente transeunte, ben potendo l'effetto penoso protrarsi anche per lungo tempo (lo riconosceva quella giurisprudenza che, nel caso di morte del soggetto danneggiato nel corso del processo, commisurava il risarcimento sia del danno biologico che di quello morale, postulandone la permanenza, al tempo di vita effettiva: n. 19057/2003; n. 3806/2004; n. 21683/2005).

Va conseguentemente affermato che, nell'ambito della categoria generale del danno non patrimoniale, la formula "danno morale" non individua una autonoma sottocategoria di danno, ma descrive, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, un tipo di pregiudizio, costituito dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sè considerata. Sofferenza la cui intensità e durata nel tempo non assumono rilevanza ai fini della esistenza del danno, ma solo della quantificazione del risarcimento.

In ragione della ampia accezione del danno non patrimoniale, in presenza del reato è risarcibile non soltanto il danno non patrimoniale conseguente alla lesione di diritti costituzionalmente inviolabili (come avverrà, nel caso del reato di lesioni colpose, ove si configuri danno biologico per la vittima, o nel caso di uccisione o lesione grave di congiunto, determinante la perdita o la compromissione del rapporto parentale), ma anche quello conseguente alla lesione di interessi inerenti la persona non presidiati da siffatti diritti, ma meritevoli di tutela in base all'ordinamento (secondo il criterio dell'ingiustizia ex art. 2043 c.c.), poiché la tipicità, in questo caso, non è determinata soltanto dal rango dell'interesse protetto, ma in ragione della scelta del legislatore di dire risarcibili i danni non patrimoniali cagionati da reato.

Scelta che comunque implica la considerazione della rilevanza dell'interesse leso, desumibile dalla predisposizione della tutela penale"

Così Cassazione Civile Sezioni Unite 26972/2008.

Questi i principi di diritto elaborati dalla Suprema Corte, per altro, tutti abbiamo visto come la sofferenza e il lutto non elaborato abbiano dominato le dichiarazioni in questa aula dei compagni di lavoro di chi è deceduto per responsabilità degli imputati.

E' ovviamente impossibile fornire la prova certa, caso per caso, di quanto dell'angoscia che ha travolta tutti dipenda dal dolore per la perdita dei compagni di lavoro e quanto dalla coscienza della gravità dei rischi personalmente corsi, i due profili si sono saldati in ognuno in modo inestricabile.   

Da questo punto di vista questo processo ha rappresentato una verifica empirica della saggezza dell'impianto normativo che prevede, in termini generali, la sussistenza del danno non patrimoniale per le vittime di reato senza necessità di prova specifica.

 

Questa Corte ha l'opportunità di contribuire in modo fondamentale anche  all'elaborazione di questi lutti, applicando con rigore la legge e, quindi, da un lato dichiarando le responsabilità degli imputati per i reati loro contestati e dall'altro riconoscendo quali vittime della violazione dell'art. 437 cod. pen. tutti gli operai della ThyssenKrupp, in questo modo ricongiungendo i vivi ai caduti.

Il nostro ruolo nel processo ci costringe, a questo punto, a vincere una crediamo comprensibile reticenza ed affrontare il tema della quantificazione del danno.

Non possiamo evitarlo.

Pacifico essendo che nel caso specifico ci si debba riferire a parametri di equità, non crediamo abbia alcun senso ipotizzare che la quantificazione possa essere demandata ad altro giudice.

Non è necessaria, né logicamente ipotizzabile,  alcuna nuova attività giudiziaria per valutare   quale debba essere  l'entità di quella quota del danno non patrimoniale, che sino a pochi anni or sono veniva qualificata come "danno morale".

Anzi, sarebbe a nostro avviso palesemente incongruo un nuovo giudizio finalizzato esclusivamente a questo scopo.

Non si vede chi meglio di questa Corte, che ha sentito tutti i testimoni e che ha valutato nella processualmente possibile immediatezza i fatti, potrebbe valutare l'intensità del patimento morale sopportato dalle parti civili in conseguenza diretta della condotta degli imputati.

Non nascondiamo di avere valutato, particolarmente nelle fasi iniziali del dibattimento, l'opportunità di una richiesta di risarcimento puramente simbolica.

Ciò che ci ha fatto decidere in senso del tutto opposto è stato sia il comportamento processuale della maggior parte degli imputati, ed in particolare di coloro che, per l'attività svolta, erano più direttamente a contatto con gli operai esposti al rischio determinato dalle carenze di tutele antinfortunistiche, che la "scoperta" che i controlli delle strutture pubbliche sul rispetto della normativa in tutela della salute dei lavoratori fossero quantomeno condizionati dai responsabili ThyssenKrupp.

I fatti sono noti e sono stati oggetto di trattazione da parte dell'ufficio del Pubblico Ministero che ha chiesto la trasmissione degli atti per procedere tanto in relazione alle pressioni intervenute sui testi ed alle false testimonianze quanto con riferimento ai comportamenti degli organi di controllo.

Ciò spinge le parti civili a richiedere un risarcimento del danno che tenga conto di tali comportamenti.

Non si tratta di suggerire surrettiziamente l'introduzione della categoria del "risarcimento punitivo", estraneo al nostro sistema e di cui non si vede la necessità, ma di adeguare al caso concreto, così come costantemente insegna la Cassazione, la valutazione in via equitativa.

A fronte di comportamenti illeciti che, assumendo nuove forme, si protraggono dopo il verificarsi dell'evento,  non può che risultare "esaltato" l'elemento soggettivo del reato e, conseguentemente, non può che essere più violento l'effetto morale sulle vittime.

Se al reato doloso si assommano comportamenti illeciti degli imputati orientati a mascherare le vere responsabilità, tentando di farle ricadere, almeno parzialmente, sulle vittime è consequenziale ritenere che il danno non patrimoniale patito dalle vittime stesse si accresca.

Un secondo elemento di cui, ad avviso delle parti civili, si dovrà tenere conto nella quantificazione del danno è la durata dell'esposizione al rischio cui sono stati esposti i lavoratori ed il progressivo aggravarsi del rischio stesso.

Al momento del dramma del 6 dicembre la situazione preso la ThyssenKrupp di Torino era estrema, ma, come correttamente contestato dall'imputazione, era dal 2006 che gli imputati avevano iniziato a gestire coscientemente il degrado dello stabilimento.

Il protrarsi per circa due anni del comportamento delittuoso, senza un'incertezza o un ripensamento, reca come conseguenza sia una intensificazione del profilo soggettivo della responsabilità sia un incremento oggettivo del rischio. Si pensi alla mancata manutenzione: più passa il tempo più si moltiplicano i pericoli. 

Un ulteriore, per altro ovvio, elemento di cui si dovrà tenere conto è che questo tipo di danno non patrimoniale non può e non deve fare distinzioni in base alla posizione sociale e al reddito.

Non osiamo immaginare quali richieste risarcitorie potrebbero proporre uomini politici o amministratori di grandi società che risultassero esposti con dolo a rischio di infortunio mortale per due anni.

E' esperienza comune che si vedano proporre richieste di risarcimento milionarie per  affermazioni giornalistiche  presuntamente lesive dell'immagine.

La Corte, nel rendere giustizia, dovrà procedere alla valutazione del danno morale degli operai esattamente con gli stessi schemi che adotterebbe se a correre il rischio di morte sul lavoro fosse stato un grande manager o un importante uomo politico.

Il nostro sistema costituzionale prevede che la vita, ed il rischio di perderla, abbiano lo stesso valore  per tutti.

Questi sono i parametri di equità che le parti civili chiedono che siano presi in considerazione.

Circa l'entità economica del risarcimento, ovviamente sarà la Corte ad individuarla ma le parti civili ritengono che non dovrà  essere inferiore  ad euro 6000 mensili per il periodo che va dal giugno 2006 al maggio 2007 e ad euro 10000 mensili per il periodo giugno 2007 -  6 dicembre 2007 ciò in conseguenza  del progressivo aggravarsi dell'intensità del rischio;  e così, complessivamente, 128.999.9 €  per ogni parte civile costituita.

 

Già si è accennato al fatto che le parti civili costituite sono state, a partire dal 7 dicembre 2007, sospese in cassa integrazione a zero ore con consequenziale drastica riduzione del reddito. Pure si è accennato al fatto che le parti civili costituite sono state oggetto di pressioni improprie da parte del responsabile civile per spingerle a rinunciare alle costituzioni di parte civile, tanto in occasione della chiusura del rapporto lavorativo quanto in sede di richieste di cassa integrazione.

Ed ancora, i tentativi illeciti di modificare il naturale andamento di questo processo sono stati posti in essere sicuramente anche in danno delle parti civili costituite.

Se a ciò si aggiunge la grande differenza esistente tra il patrimonio degli imputati e del responsabile civile rispetto a quella delle parti civili risulta evidente la gravatorietà e l'ingiustizia sostanziale di un differimento della dichiarazione di esecutività alla sentenza definitiva.

Risultano perciò sussistenti nel caso di specie i giustificati motivi per rendere la sentenza che sarà resa provvisoriamente esecutiva ex art 540 1° comma cpp.

 

Proponendo queste richieste gli operai costituiti parte civile sono convinti di assolvere all'impegno da loro assunto scegliendo di essere presenti, con gli strumenti che l'ordinamento consente, nel processo anziché limitarsi ad esserne spettatori: contribuire a giungere all'accertamento della verità dei terribili fatti che hanno straziato sette famiglie  e sconvolto milioni di italiani, contribuire ad accertare le responsabilità di quanto è accaduto e, al tempo stesso, ottenere, di fatto, il riconoscimento che per le imprese è, anche economicamente, oltre che eticamente, più  vantaggioso  investire nelle misure necessarie a garantire la sicurezza  di chi lavora, che tentare di sfuggire alle proprie responsabilità.

Pochi mesi fa un ministro di questa Repubblica ha pubblicamente dichiarato che "la sicurezza sul lavoro è un lusso che non possiamo permetterci ".

Noi siamo convinti esattamente del contrario e cioè che è l'insicurezza sul lavoro ed il degrado che le imprese non possono permettersi né sul piano etico né su quello economico. Il nostro sistema costituzionale e l'intero impianto normativo lo impediscono. Siamo convinti che questa Corte lo confermerà. Il delitto non paga.   

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