mercoledì 4 maggio 2011

INTERVISTA  A  MIRKO PUSCEDDU PER NUOVA RESISTENZA NEWS

 

 

1)D: Storia sulle Acciaierie Thyssen: per quale motivo é assurta alla cronaca in Italia?

 

R: La ThyssenKrupp è tristemente balzata alle cronache in seguito alla tragedia di Torino del 6 dicembre 2007 in cui morirono 7 operai investiti da un getto d'olio idraulico fuoriuscito da un flessibile usurato nel corso di un incendio. Sono morti in rapida successione, tra atroci sofferenze: Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Bruno Santino, Roberto Scola, Rosario "Saro" Rodinò, Rocco Marzo e Giuseppe Demasi.

I nomi Thyssen e Krupp comunque non sono nuovi ad efferatezze di tipo antioperaio: i capostipiti delle due grandi famiglie industriali tedesche furono tra i maggiori finanziatori del Partito nazista e di Hitler e i cannoni dei Krupp forniti al Terzo Reich hanno fatto carneficina di milioni di operai e proletari di tutto il mondo nel corso sia della Prima che della Seconda Guerra Mondiale. Due cognomi macchiati dal sangue di milioni di innocenti. La storia si ripete.

 

2)D:Vi sareste mai aspettati che sarebbe potuto succedere quello che é poi successo a Torino nel Dicembre 2007?

 

R: Negli ultimi mesi, in seguito all'annuncio della chiusura del sito torinese da parte della ThyssenKrupp (giugno 2007) le attenzioni dedicate alle condizioni degli impianti così come l'esodo di massa del personale manutentivo ha sicuramente fatto peggiorare le condizioni di sicurezza all'interno dello stabilimento, lasciato in gran parte in mano ad operai giovani e poco esperti e inadeguatamente preparati soprattutto dal punto di vista dell'intervento in caso di incidenti rilevanti. Ma nulla lasciava presagire un finale così catastrofico. L'Azienda ha consapevolmente deciso, come emerso dagli atti del processo, di scegliere di non utilizzare il finanziamento già messo a budget per l'Anno 2007 di 1,5 milioni di euro da destinare ad interventi sulla sicurezza sulla Linea 5 e di posticiparlo all'anno successivo, quando l'impianto sarebbe stato trasferito a Terni, dove ha sede lo stabilimento principale della ThyssenKrupp. Una volontà precisa quindi, quella di far lavorare i lavoratori in una situazione di grave rischio per la propria vita, con il personale manutentivo drasticamente ridotto nel numero e soprattutto nelle professionalità, senza alcuna formazione antinfortunistica e con un assetto aziendale delle mansioni ridisegnato per garantire la produzione ma non la sicurezza. Estintori ancora dotati di sigillo completamente vuoti, manichetta dell'acqua rotta, il telefono utilizzato per chiedere soccorso usurato che faceva contatto in maniera alterna, quella notte non ha funzionato praticamente niente…E questo a Torino, grande realtà industriale, in uno stabilimento di una delle più grandi multinazionali mondiali dell'acciaio. Figuriamoci cosa accade nelle cosiddette boite (alla piemontese, ovvero le piccole e piccolissime imprese meccaniche)…

 

3)D: Avevate sentore che potesse accadere ciò che si é verificato:e quello che é successo sarebbe potuto accadere in ogni momento?

R: LA ELEIMINEREI, E' SIMILE ALLA DOMANDA 2

 

4)D: Gli operai, dopo la chiusura dello stabilimento di Torino, dove sono stati trasferiti e sopratutto quanti operai sono rimasti?

 

R: Dei quasi 400 addetti (di cui circa 100 amministrativi e 300 legati alla produzione) alcuni hanno raggiunto l'età pensionistica per sopragiunti limiti di età, altri sono stati messi in mobilità e "accompagnati" alla pensione. Ai restanti sono stati riservati trattamenti diversi a seconda del grado di "ostilità" dimostrato nei confronti dell'Azienda: ricollocazione a tempo indeterminato all'Alenia Aerospazio ed altre aziende per chi non si è costituito Parte Civile nel procedimento in corso; ricollocazione a tempo determinato e poi licenziamento (non rinnovo del contratto, c'è la crisi!) per altri lavoratori, ingannati con la promessa di un posto di lavoro (per es. alla Luxottica, dove il capo del personale, guarda caso, l'ex capo del personale della ThyssenKrupp) per ridurre il numero dei lavoratori in cassa integrazione; vera e propria discriminazione nei confronti di chi, come me, è costituito Parte Civile nel processo. E questo, va detto,  anche con la vergognosa complicità del Comune di Torino, che si è reso responsabile della ricollocazione a tempo indeterminato di decine di ex lavoratori ThyssenKrupp in Amiat (azienda a capitale interamente pubblico e quindi di proprietà del Comune, che si occupa della raccolta dei rifiuti) tutti non costituiti parte civile nel processo! Situazione paradossale: ci discriminano quegli stessi Enti locali sottoscrittori dell'accordo che prevede la nostra ricollocazione e che sono costituiti come Parte Civile nel processo a fianco dei lavoratori! Abbiamo denunciato più volte e con forza l'accaduto attraverso i media ma le recenti e ben più gravi notizie che accadono nel Paese (l'attacco ai lavoratori attraverso il Piano Marchionne, l'ennesimo scandalo che vede coinvolto Berlusconi, le recenti rivolte popolari nei paesi arabi, ecc.) hanno fatto passare in sordina questa vicenda, assai grave perché a discriminare è un'Istituzione, che dovrebbe invece garantire tutti i cittadini, senza distinzione alcuna. In questa situazione divenuta ormai insostenibile siamo rimasti in 12. Mentre gli operai costituiti nel procedimento sono in tutto 48, rappresentati da diversi studi legali.

 

5)D: Quando scadrà la Cassa Integrazione? Sono stati messi in cantiere i piani di formazione previsti?

 

R: Dopo la cassa integrazione straordinaria (24 mesi) e due periodi di cassa integrazione in deroga (dieci mesi più altri sei) i benefici previsti dagli ammortizzatori sociali scadranno il prossimo 30 giugno. Nel frattempo stiamo seguendo percorsi formativi di riqualificazione individuali attraverso la fruizione di vari corsi base di circa un centinaio di ore, assolutamente inefficaci per quanto riguarda uno sbocco professionale, anche vista l'attuale crisi, a detta di tutti ormai, sistemica e non più ciclica, come eravamo abituati nel passato. Ormai il capitale speculativo ha di gran lunga soppiantato il capitale produttivo per cui i capitalisti fanno comunque ingenti profitti senza bisogno di produrre alcunché o semplicemente delocalizzando le produzioni dove materie prime, costo del lavoro, diritti dei lavoratori e salvaguardia dell'ambiente non sono minimamente considerati. Le condizioni in cui ci troviamo ora sono grosso modo le stesse che hanno preceduto le due Guerre Mondiali: gravi crisi economiche che generano forti tensioni sociali (presenti non solo all'interno dei paesi capitalisti ma anche nei paesi cosiddetti in via di sviluppo) sfociate in vere e proprie rivolte popolari come quelle accadute di recente nei paesi arabi. La globalizzazione amplifica gli effetti di questi fenomeni e li rende universali. Oramai le soluzioni di tipo economico (riduzione del costo del denaro, ritocco dei tassi di sconto, revisioni periodiche dei sistemi pensionistici, campagne di incentivi per stimolare gli acquisti di beni primari, ecc.) adottate in passato dai vari governi per attenuare gli effetti delle crisi cicliche da sovrapproduzione di capitale non sortiscono più gli effetti sperati e una massa crescente di persone si trova estromessa da qualunque attività produttiva e quindi sociale. Una massa che però oggi è molto più cosciente, organizzata e consapevole di quale sia la causa di questa crisi: l'assetto sociale esistente, ormai d'ostacolo all'ulteriore sviluppo della civiltà umana, che mette al centro non il bisogno della società e dei suoi individui (ossia di tutti) ma i bisogni di pochi (il profitto di alcuni a scapito di molti). Appare inspiegabile come data l'odierna conoscenza tecnica e le innovazioni in campo tecnologico e della elevata produttività raggiunta in campo alimentare ci siano ancora miliardi di persone che vivono al di sotto del fabbisogno alimentare giornaliero e persino chi muore ancora per mancanza di cibo. Il problema è nel meccanismo della distribuzione e dei livelli di consumi, completamente appannaggio dei soli Paesi industrializzati, del tutto iniquo e fuori controllo, interamente votato alla ricerca del solo profitto e non del soddisfacimento dei bisogni degli individui. Non si produce ciò di cui si ha bisogno ma ciò che fa fare profitti.

 

 

6)D: Alla scadenza della Cassa integrazione, quale futuro vi aspetta?

 

R: Non saprei rispondere con precisione. Di sicuro da questa crisi ne usciremo del tutto diversi da come ne siamo entrati. Si stanno completamente e rapidamente stravolgendo tutti gli assetti sociali esistenti. Io credo che il capitalismo, così come l'abbiamo visto in questo secolo con gli effetti che ha prodotto sulla civiltà umana (guerre, inquinamento, morti sul lavoro, degradazione sociale, divario Nord-Sud del mondo, spreco delle risorse, razzismo, omofobia, ecc.), stia volgendo al termine. E diventa più cinico e brutale man mano che si avvicina alla sua fine, dopo aver raggiunto il suo compito storico di affrancare la civiltà dai vincoli servili e feudali.

Ma una gran parte dell'umanità ha capito che il modo di produrre capitalistico va superato e sostituito con un nuovo ordine sociale e produttivo che metta al centro l'individuo e i suoi bisogni, non il profitto. E questo avverrà inevitabilmente, certo non in maniera indolore, per la contraddizione stessa insita nel capitalismo: esso crea le condizioni (sfruttamento, povertà, impoverimento delle risorse, precarietà, disoccupazione, emarginazione, povertà, ecc.) che determinano il suo superamento. Solo gli sprovveduti e gli opportunisti vedono ancora nel modo di produrre capitalistico (o in una sua attenuazione degli effetti più negativi, il capitalismo "dal volto umano") la chiave di svolta per uscire da questa crisi.

 

7)D:Come hai vissuto questa esperienza come persona, come lavoratore, come attivista politico?

 

R: E' stato un brutto risveglio quello della mattina del 7 dicembre. Un sms di prima mattina diceva: "Stai bene? Ho saputo dell'incidente…", poi la corsa angosciosa in fabbrica, leggendo il giornale in cerca di notizie.

Davanti alla fabbrica il caos assoluto: operai increduli, familiari disperati, forze dell'ordine, cronisti e troupe televisive da ogni dove, semplici cittadini. Lavoravo da anni in quella linea di trattamento dell'acciaio, solo la sera prima avevo smontato dal turno pomeridiano tre ore prima che morissero i miei compagni di lavoro. Giuseppe Demasi, il ventiseienne addetto alla qualità che mi ha dato il cambio quella maledetta sera, come ogni giorno, sulla postazione di collaudo, è morto dopo ventitre giorni di agonia con ustioni del 90% su oltre l'80% del corpo. Ha resistito a lungo, la sua giovane tempra era forte, come la sua voglia di vivere, ma non abbastanza da resistere a quelle bruciature letali.

 

8)D: Siete ancora in contatto con i famigliari delle vittime? E in quale rapporto?

 

R: Li vediamo regolarmente a tutte le udienze in Tribunale. Sono sempre presenti con le foto dei loro cari esposte: un modo per averli vicini. Manteniamo i contatti anche grazie alla partecipazione alle attività dell'Associazione onlus nata a giugno del 2008 in seguito alla strage: Legami d'Acciaio. Cerchiamo di sensibilizzare la società civile sul tema della sicurezza e della tutela della salute nei luoghi di  lavoro e di usare l'enorme attenzione mediatica riservata alla nostra vicenda per parlare così di tutti i morti sul lavoro, anche le migliaia che muoiono nel totale silenzio, ignorate dai media.

 

9)D: A che punto é il processo ai vertici della ThyssenKrupp ? E per quando é prevista la sentenza di primo grado?

 

R: Dopo più di tre anni e oltre 150 udienze si dovrebbe giungere a sentenza verso la metà di aprile. Dopo le prossime udienze fissate per l'8 e il 13 aprile, il 15 aprile al termine dell'udienza prevista la Corte si ritirerà in Camera di Consiglio per emettere la sentenza. Io mi auguro la condanna per tutti gli imputati, senza nessuna attenuante, anche se è solo il primo grado e ci sono ancora due gradi di giudizio: una vicenda giudiziaria tutt'altro che chiusa. La loro condotta prima (risparmio sulla sicurezza) e dopo (istigazione alla falsa testimonianza per il Responsabile della sicurezza dello stabilimento torinese Cosimo Cafueri e falsa testimonianza per alcuni ex lavoratori e 5 ispettori dell'Asl Torino 1) non lascia spazio a nessun sentimento di pietà nei loro confronti. Sono stati chiari i familiari: ergastolo! Lo hanno gridato al termine di una delle tante udienze, anche se non è previsto dal Codice Penale per il reato di cui risponde l'ad H. Espenhahn, omicidio volontario con dolo eventuale (il PM ha chiesto 16 anni e sei mesi).

 

10)D: Avete avuto solidarietà dagli operai in Germania?

 

R: Il 6 dicembre 2008 a Duisburg, dove ha sede uno dei principali stabilimenti della ThyssenKrupp, si è svolto un piccolo presidio per ricordare la strage di Torino, organizzato da un circolo di lavoratori italiani legati a Rifondazione Comunista. Da parte dei colleghi di altri stabilimenti nessun segnale di cordoglio. Nemmeno dai colleghi di Terni, fatta eccezione per gli Enti locali umbri, presenti con i gonfaloni ai funerali di Torino. E intanto nello stabilimento ternano, dopo la strage di Torino, sono morti già 3 operai: uno della ThyssenKrupp e due appartenenti a ditte appaltatrici. Ovviamente la Thyssenkrupp di Terni, con quasi 4000 addetti più l'indotto, dal punto di vista occupazionale ha una ricaduta e un'influenza maggiori sul tessuto cittadino rispetto a Torino. Il ricatto occupazionale è maggiore. Non voglio nemmeno per un istante credere che un operaio possa essere indifferente ad un fatto del genere. Lo impone l'appartenenza di classe.

 

11)D: Durante il processo la proprietà ha chiesto di patteggiare la pena con un risarcimento alle vittime?

 

R: L'Azienda non ha mai chiesto il patteggiamento richiedendo il rito ordinario, sicura della propria estraneità ai fatti contestati. Ha risarcito i familiari essenzialmente per due motivi: primo perché è il secondo produttore al mondo di laminati piani inossidabili, con proventi faraonici (fatturato del solo comparto inossidabile del 2008: 2,3 miliardi di euro) e pochi milioni di euro non sono che briciole; e secondo perché la volontà di risarcire costituisce un'attenuante dal punto di vista processuale. Nessun fine umanitario, solo freddo e cinico calcolo.

 

 

12)D: Pensi che questa esperienza possa lasciare un segno nel proseguo della tua vita futura?

Ma se alla ThyssenKrupp non fosse successo nulla, avresti affrontato il tuo impegno politico con la stessa intensità?

 

R: Un segno sicuramente sì: non solo la tristezza di aver perso degli amici e compagni di lavoro, anche una maggiore voglia di riscatto e una combattività che è andata crescendo in questi anni, aumentando la consapevolezza che non esiste alcun capitalismo dal volto umano, né mai esisterà.

Bisogna lottare per cambiare l'ordinamento sociale esistente e il modo di produrre e mettere al centro i bisogni delle persone e non più il profitto, eliminare le produzioni nocive, nazionalizzare le aziende in crisi, convertire le produzioni ormai superate, affidare ad ognuno un compito produttivo adeguato alle proprie peculiarità personali, abolire la moneta, eliminare i privilegi non solo ai politici ma anche ad altre classi di parassiti (per es. il Vaticano inteso come istituzione e gerarchia ecclesiastica, rispettando invece la spiritualità di ognuno) e promuovere, in questa fase, governi formati da quegli elementi che già oggi si battono, in ambiti diversi (chi contro le morti sul lavoro, chi contro la devastazione ambientale, chi per i diritti umani, ecc.), contro questo sistema, esponenti che già godono della fiducia delle masse popolari (per es. Gino Strada Ministro della Sanità, Giorgio Cremaschi Ministro del Lavoro, Margherita Hack Ministro dell'Istruzione e della Ricerca Scientifica, ecc.). E tutto questo può essere rappresentato solo un sistema di tipo socialista, che nascerà inevitabilmente come risposta alle condizioni di abbrutimento materiali e sociali in cui il capitalismo ci ha relegato, ma dal quale le masse popolari sanno che dobbiamo uscire per non continuare a pagare gli effetti della crisi.

Comitati, associazioni e coordinamenti già esistono e si battono ognuno nel proprio ambito, ciò che manca è solo l'unione di tutte queste lotte, un loro coordinamento unitario attraverso la guida di un partito comunista con una dottrina e una linea giusti che conduca le masse popolari alla guida del paese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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