giovedì 24 febbraio 2011

La Stampa


Thyssen, "Noi inadempienti?
Spegnevamo fuochi
quasi ogni giorno"


Antonio Boccuzzi: «Fui messo in cassa integrazione per punizione»

Parla il superstite dell'incendio

di Alberto Gaino

Antonio Boccuzzi, la difesa continua a metterla di mezzo, ieri come uno dei tre responsabili della sicurezza per conto dei lavoratori. Voi Rls non avreste segnalato alcun problema nei mesi precedenti la morte dei suoi sette compagni nel fuoco.
«Fra luglio e settembre 2007, il consiglio di fabbrica della ThyssenKrupp di cui facevo parte sollevò più volte problemi di quel genere, soprattutto in relazione alla carenza della manutenzione e in particolare contro la scelta dell'azienda di ridurre le squadre di lavoro di un'unità. La decisione valeva anche per la linea 5. La risposta dell'azienda fu di mettere in cassa integrazione i tre di noi che ancora non lo erano».

Una punizione?
«Cosa altro poteva essere? Io fui il solo della mia squadra a finire in cassa integrazione. Rientrai al lavoro in ottobre».

E non sollevò più la questione della sicurezza?
«Certo che sì. Lo ha ammesso molto onestamente lo stesso Cafueri (il responsabile della sicurezza TK, ndr.). Dopo un principio di incendio ad una linea di laminazione, andai a parlarne insieme con Argentino non so se a lui o a Vilella, il capo del personale. A volte vennero trovate le soluzioni, altre tamponamenti. In altre occasioni ancora Cafueri mi fece capire che non disponeva dei mezzi per intervenire».

Il vostro primo problema era la carenza di manutenzione?
«Proprio così. Prenda la questione della fotocellula di cui si è tanto parlato nelle ultime arringhe come della causa originaria dell'incendio. Non funzionava dal venerdì precedente la notte della tragedia, che cadde di mercoledì. In ogni caso, quel problema non ha avuto alcuna connessione con il fuoco».

Come andò quella notte? E' vero che voi stavate facendo una riunione sindacale?
«La riunione ci fu poco dopo le 22 e non durò molto: era stato indetto uno sciopero per l'8 dicembre: l'azienda voleva far lavorare anche il sabato le linee del trattamento. Non so chi fra Scola e Rodinò: uno dei due si accorse del principio di incendio. Il povero Rocco Marzo era arrivato poco prima: gli stavamo spiegando i motivi della fermata. Ci attivammo subito tutti: io mi precipitai sotto la spianatrice dell'Aspo 2, Rodinò e Demasi erano all'Aspo1, il solo in funzione in quel momento, due metri e mezzo sopra di me. Era là che la lamiera sfregava sulla carpenteria: le scintille cadevano giù dove c'erano carta e olio sul pavimento. Così ci fu l'innesco».

Perché non chiamaste la squadra di emergenza?
Era un ordinario principio di incendio. Accadeva talmente di frequente e talmente di frequente quei fuocherelli li spegnevamo noi che non avevamo più coscienza del pericolo. Vivevamo una situazione di ordinaria follia. Quella notte presi un estintore: era scarico. Poi, con Laurino e Santino, provai a collegare una manichetta all'idrante: mi salvai perché ero coperto da un muletto quando ci fu l'esplosione del flessibile con l'olio in pressione. Avessi impugnato la lancia, sarei morto io e non Scola».

Nessun commento:

Posta un commento