mercoledì 9 febbraio 2011


Scritto da DirittiDistorti


Storia di un disoccupato




  
Martedì 08 Febbraio 2011

Di Tano Lancusi* - Sono nato poco più di 40 anni fa. Sin da bambino ero attratto dalle materie scientifiche, tanto che accanto agli episodi di "Goldrake", "Happy Days" e "Spazio 1999", non perdevo neanche una puntata dell'allora "Quark" di Piero Angela, mentre le riviste tecniche prendevano il posto dei fumetti. Nel periodo in cui molti adolescenti si dividevano nell'idolatrare gli Spandau Ballet o i Duran Duran, il mio mito incontrastato era invece il Nobel Carlo Rubbia.
Sospinto dalla passione e dai brillanti risultati scolastici, sognavo di diventare "qualcuno", di lavorare in importanti progetti di ricerca, magari alla scoperta di "qualcosa" che avrebbe positivamente rivoluzionato il mondo.
Sapevo bene però che un sogno è una grande torta il cui profumo dona grossi stimoli, ma della quale spesso si riesce a consumare soltanto una fetta. Non immaginavo invece che la stessa torta mi sarebbe poi stata catapultata contro, peggio di un violento pugno sferrato in pieno petto ... perché? Se avrete la pazienza di leggere per intero questa mia testimonianza, lo scoprirete.
ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO
Subito dopo la laurea in ingegneria a pieni voti, ebbi la possibilità di poter scegliere fra diverse proposte di lavoro... erano altri tempi e, soprattutto, ero giovane! Firmai un contratto a tempo indeterminato in qualità di progettista presso un'industria che sembrava potesse ricambiare almeno in parte le mie aspettative e la dedizione che sono abituato in profondere in tutto ciò in cui credo.
In un primo tempo pensai di aver trovato in azienda un ambiente tranquillo, colleghi cordiali, orientamento ai risultati e alla produttività: in pratica il contesto ideale per me. In effetti riuscii in breve tempo, seppure da inesperto neolaureato, a fornire già un deciso contributo evolutivo al
prodotto di cui mi occupavo.
Ma dopo pochi mesi dall'assunzione, ecco sopraggiungere i primi sintomi dello scadimento finora nascosto: dalle conversazioni tra colleghi, iniziai a prendere coscienza dell'esistenza di tante piccole "parrocchie" a cui appartenevano molti dipendenti o forse quasi tutti; ogni parrocchia era poi
sotto la protezione di un Mister X più o meno noto. Ciò mi aiutò a comprendere i motivi di ciò che già stava accadendo: fuga dei migliori alla ricerca dei propri meriti, ciarlieri fumosi investiti da ruoli di responsabilità, esosi quanto inutili incarichi di consulenza esterna, lavoro caricato su pochi soggetti, mentre altri in cerca soltanto di consenso e potere tra un caffè e una chiacchierata. Il declino dell'azienda era del resto già cominciato da qualche anno.
Le tenebre si stavano avvicinando, tenebre ancor più profonde a causa degli atteggiamenti del mio nuovo capo: una persona tecnicamente preparata, ma assolutamente egocentrica e sprezzante del termine "rispetto". Se uno dei suoi obiettivi era di schiacciarmi professionalmente per sbarazzarsi di un possibile futuro ostacolo nel suo percorso di carriera, aveva senz'altro trovato in me carne tenera e facilmente macinabile.
Per me, con un carattere fin troppo docile e rispettoso delle regole, era praticamente impossibile divincolarmi tra l'incudine dettata dall'ostilità dell'ambiente circostante e il martello usato dal mio responsabile. In pratica avevo preclusa ogni possibilità di inserimento nelle maggiori
attività di progettazione periodicamente intraprese.
I miei compiti restavano svariati, in parte anche manuali, ma l'hardware e il software a cui ambivo, li ho dovuti trattare troppo spesso soltanto in qualità di tappabuchi o come riparatore di errori altrui.
La mia giornata in effetti era interminabile, poiché il termine dell'orario lavorativo coincideva ogni volta con l'inizio dell'attività di autoapprendimento tesa ad arricchire il mio bagaglio di esperienze e in qualche modo ad intiepidire il congelamento professionale riservatomi.
Così facendo sono comunque riuscito a raggiungere una situazione di equilibrio, sostenuta dall'evidenza di riuscire ad essere, nonostante tutto, inferiore solo a pochi espertissimi colleghi a qualcuno dei quali devo peraltro viva gratitudine per gli insegnamenti che mi ha impartito.
LA CRISI INCALZA
Intanto la crisi aziendale continuava a galoppare, arrivando al periodo immediatamente successivo la disumana strage delle Twin Towers. L'azienda aprì la cassa integrazione straordinaria che giunse a durare ben quattro anni.
Non è difficile indovinare che io fui costretto a respirare sola aria di casa per più di tre anni di quei quattro, salvato in extremis semplicemente perchè un mio collega, che nel frattempo aveva assunto in pieno le mie mansioni, mi aveva 'gentilmente' restituito il posto perchè adibito a un nuovo progetto.
Quelli della cassa integrazione furono lunghi anni, vissuti con la crescente coscienza che l'ombra dei 40 anni di età mi avrebbe oscurato ogni altra possibilità di impiego. Eppure dovevo considerarmi fortunato rispetto ai 40 dipendenti licenziati pochi mesi dopo, quasi tutti giovani impiegati.
Subirono la stessa sorte anche alcuni operai scelti però soltanto tra coloro che avessero raggiunto il pensionamento durante il periodo di mobilità. Il 2006, anno del mio rientro dalla cassa integrazione, coincise con un periodo meno negativo per l'azienda: difficile comprendere se per questioni contingenti oppure perchè traghettata dalle idee chiare di un giovane amministratore che nel frattempo ne aveva preso le redini. Indubbiamente una delle poche persone positive viste al timone, ma costretto a dare le dimissioni dopo qualche anno.
Intanto nei corridoi si mettevano bella mostra colleghi ritrovati e facce
nuove. I colleghi ritrovati erano superstiti salvati dal naufragio di brandelli di piccole società del gruppo create e poi chiuse da precedenti amministrazioni ... per la serie "quando si vuole miracolare".
Le facce nuove erano invece giovani neoassunti a livelli già a ridosso del quadro ... vabbè, pensavo ... ben vengano, forse sono cervelloni in grado di salvare capra e cavoli.
Intanto però in pochi mesi il numero dei dipendenti era salito vertiginosamente, superando abbondantemente quello precedente alla prima ondata di licenziamenti. Eppure non si può dire "c'è qualcosa che non va" perchè "anormalità" erano ormai diventata sinonimo di "normalità".

ALTRI LICENZIAMENTI IN ARRIVO
Arriviamo stancamente ai giorni nostri, agli albori della ben nota crisi economica attuale. Quale occasione migliore per gettar via altra zavorra umana da un sistema diventato nuovamente pesante?
Stavolta viene escogitato qualcosa di geniale: si vuole licenziare subito, senza passare neanche per un giorno di cassa integrazione! E' ovvio che la notizia scatenò un forte fermento da parte di tutti i
dipendenti. Ma l'inquietudine ebbe durata relativamente breve: si passò in men che non si dica ad un surreale stato di calma nonostante la gravità dell'annuncio. Vi chiederete perché ... ve lo spiego subito.
Con gli operai c'era poco margine di azione: i sindacati hanno sempre mostrato di saperli difendere molto bene con l'arma dello sciopero e del blocco della produzione.
La partita si giocava allora con gli impiegati: tra questi sì che ci si può sbizzarrire con i tagli. L'imperativo era però operare un taglio chirurgico, vale a dire colpire gli impiegati a minore rendimento o quelli non protetti? Lascio a voi intuire la risposta.
La legge sulla mobilità impone precise regole non di certo nominative per la scelta delle vittime, a meno che ... i sindacati non firmino l'accordo sui licenziamenti. Infatti con il placet sindacale, l'azienda è libera di buttare fuori chi vuole o almeno rende molto più incerto l'esito di un eventuale ricorso legale. La strada sembra però difficilmente praticabile, in quanto con quale faccia i sindacati avrebbero avallato altri 50
licenziamenti senza battere ciglio?
LA COSPIRAZIONE
Il buon condottiero conosce bene le regole di guerra e sa che per poter sferrare al nemico il colpo fatale, è opportuno prima isolarlo.
Ecco allora partire in avanscoperta i "servizi segreti". Il loro scopo era di informare direttamente o indirettamente gli impiegati da confermare e nel contempo incitarli alla cospirazione contro il nemico, ovvero contro i colleghi da silurare. I contatti sottovoce si infittiscono a danno delle
voci grosse: da qui lo stato di calma surreale al quale ho accennato prima. La fase successiva del piano vede salire in cattedra proprio i cospiratori, nella fattispecie alcuni impiegati ben ammanigliati, capaci di mettere in atto un vero e proprio teatrino di strada. La farsa aveva una trama incentrata sul tentativo palesemente improbo di far credere che loro per primi sarebbero stati lieti di lasciare un'azienda in crisi con il risicato incentivo economico offerto.
Ebbene, le ovvie e civilissime rimostranze di noi vittime predestinate, sono servite soltanto ad inasprire i toni del confronto. I cospiratori hanno iniziato a prenderci gusto ed a calarsi in maniera sempre più calzante nel ruolo di attori. Il loro fare ha iniziato a prendere la forma di una vera e propria violenza psicologica nei confronti di colleghi con i quali, fino a pochi giorni prima, avevano condiviso quotidianità e interessi comuni.
Il top dell'arte recitativa veniva messa in opera soprattutto in occasione delle assemblee, ove gli attori protagonisti prendevano la parola per ribadire le teorie promosse, con voce altezzosa. Ancora una volta, noi vittime, ci guardavamo l'un con l'altra dibattute fra prostrazione e sbigottimento e, anziché reagire, non facevamo altro che aumentare inermi la nostra incredulità di fronte al lercio cannibalismo verbale.
La cospirazione sta producendo gli effetti sperati: il nemico è stato non solo isolato ma anche ammansito. Per sancire la messa in minoranza del nemico anche agli occhi dei sindacati, va però messo nero su bianco. Ecco allora sbucare un foglio in cui ogni dipendente era "invitato" a sottoscrivere la sua volontà affinché l'azienda procedesse ai 50 licenziamenti annunciati.
A riprova del complotto, l'iniziativa ebbe immediatamente largo consenso e le uniche caselle rimaste senza firma erano guarda caso quelle dei futuri licenziati e di pochissimi dissidenti.
I dissidenti erano alcuni dipendenti che, pur rassicurati di non perdere il lavoro, erano riusciti a fare i conti con la propria coscienza. Ma proprio ai loro danni è stata consumata l'apoteosi del disgusto. Infatti, per loro stessa amara ammissione, si sono ritrovati investiti delle minacce lanciate da uno dei "signori della guerra", uno di quelli non di certo nuovo ad atti intimidatori pur di consolidare il suo potere. Di fronte ai rischi prospettati e alla futile difesa di principi diluiti nel mare di soprusi, anche i dissidenti hanno pensato bene di allegare formalmente il proprio nome tra i favorevoli ai licenziamenti.
E' così andato a completarsi anche il documento scritto attestante la volontà da parte della maggioranza dei dipendenti (dirigenti e consulenti compresi) di procedere al taglio di personale conforme alla volontà aziendale. Ma i sindacati potranno mai usare questo documento come alibi per poter avallare tutti i licenziamenti? Beh, ricordando quali sono gli interessi che in teoria i sindacati sono chiamati a difendere, la risposta sarebbe spontaneamente orientata verso un assoluto no! Eppure la pratica non sempre coincide con la teoria. La realtà vuole che a presentarsi attorno al tavolo delle trattative per firmare o meno i licenziamenti, siano tre persone, ovvero un rappresentante di ciascuna delle confederazioni sindacali.
Le persone, come è noto, non sono infallibili: ognuna è dotata della sua virtù, della sua coscienza, della sua vulnerabilità, della sua debolezza. Forse sono state proprio queste ultime a prevalere su due dei tre rappresentanti sindacali, consentendo di fatto la chiusura dell'accordo e l'accoglimento in toto delle volontà aziendali.
In particolare, l'azienda ha goduto di piena libertà decisionale sugli impiegati da licenziare, mentre gli operai congedabili poteva sceglierli anche stavolta solo tra coloro che avessero maturato i requisiti pensionistici durante la mobilità.
Il plotone di esecuzione ha finalmente potuto attuare la sentenza di condanna del nemico, indipendentemente dai più elementari criteri di carico di famiglia, anzianità di servizio, rendimento lavorativo e valore professionale.
IL DAY AFTER
Nel giorno successivo a quello dei licenziamenti, alcuni alti dirigenti si sono dedicati una insolita passeggiata tra i dipendenti rimasti, fieri delle loro gesta, annusando in prima persona le salme adagiate sulle scrivanie rimaste silenti e celebrando l'agognata vittoria assieme agli impiegati impavidamente battutisi al loro fianco. Per questi ultimi erano infatti già pronte le medaglie d'oro al valor militare, ovvero la gratificazione dell'avanzamento di livello. Vi sembrano normali le progressioni di carriera e di stipendio elargite da un'azienda in crisi subito dopo un severo taglio di personale? Io direi proprio di no!
Il lettore più smaliziato potrebbe chiedermi a questo punto: i tanti licenziamenti hanno comunque evitato la chiusura dell'azienda e quindi tutto sommato sono valsi a salvaguardare e non a sopprimere posti di lavoro. Il riscontro negativo di tale supposizione è dimostrato dagli eventi successivi.
In pratica, dopo pochi mesi dall'attuazione dei licenziamenti, l'azienda ha sottoposto tutti i restanti operai ed impiegati al regime economico del contratto di solidarietà, con colossale alleggerimento della voce retribuzioni della contabilità aziendale. Sarebbe stato allora davvero impossibile, come si voleva far credere, evitare i licenziamenti ed inserire TUTTI nella scialuppa dei contratti di solidarietà, tenendo conto che in questo caso i costi sarebbero stati nettamente minori rispetto ai notevoli esborsi conseguenti a liquidazioni, spettanze varie ed incentivi dei lavoratori licenziati? E le tante promozioni dispensate subito dopo i licenziamenti?
Insomma, le mosse aziendali peraltro avallate dall'accordo sindacale, non farebbero chiudere il cerchio verso logiche né di amor proprio né di rispetto della dignità dei dipendenti sbattuti per strada.
Ora, a distanza di più di un anno da quei giorni sventurati, ho scritto questa mia dissertazione né per rancore né per scuotere la coscienza di chi non ce l'ha, ma solo per mostrare uno spaccato di fatti realmente accaduti e aggiungere anche il mio tra i tanti ceri accesi accanto ai cadaveri chiamati
meritocrazia ed equità, seppelliti dalla montagna di cenere degli innumerevoli sacrifici bruciati.
Al momento resta una constatazione ancora più amara, secondo cui l'intensa determinazione usata per scavare almeno un minimo spiraglio nel percorso del post licenziamento, sta lentamente ma inesorabilmente lasciando spazio alla disperazione sostenuta dalla consapevolezza di essere stato definitivamente depredato della vita professionale e forse non solo.

8-2-11


*Attento lettore di Diritti Distorti, che ha voluto renderci questa importante testimonianza


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